Durante un’intervista la senatrice Liliana Segre, che visse la tragica esperienza dell’internamento dei campi di sterminio nazifascisti, disse: “Temo di vivere abbastanza per vedere cose che pensavo la Storia avesse definitivamente bocciato, invece erano solo sopite.” Una frase che ho voluto usare accoppiandola con un’altra di Alessandro Manzoni, l’autore de I Promessi Sposi, il period drama per eccellenza della letteratura italiana: “Non sempre ciò che viene dopo è progresso.” Una frase che riesce ad indicare bene la non linearità della storia e la crisi della narrazione della democrazia liberale che da circa venti anni il mondo sta affrontando. Sicuramente qualcuno sta pensando che è esagerato scomodare certi argomenti per parlare di Bridgerton, ultima creazione di Shondaland, la casa di produzione della sceneggiatrice e producer americana Shonda Rhimes, in onda su Netflix e che sta avendo un enorme successo in tutto il mondo.
Io invece li voglio usare per due motivi. Primo perché senza l’eco mondiale del movimento Black Lives Matter una produzione come Bridgerton non ci sarebbe stata; secondo perché la maggior parte delle persone che la critica per l’inquadramento storico la ama segretamente e quasi se ne vergogna, però dovrebbe sapere che non siamo di fronte ad un romanzo storico. Proprio per niente! Negli ultimo quindici fra cinema e tv abbiamo visto moltissime produzioni dove la cornice storica aveva degli errori e dei bloopers che i miei avi della Roma Antica stavano per uscire dove sono sepolti e gridare a squarciagola vendetta in latino! Recentemente mi è capitato di vedere un film dove legioni romani combattevano contro un’orda di cinesi al solo scopo di Hollywood di metterci dentro dei campioni di kung-fu! Allora perché Bridgerton da così fastidio? Non sarà che Bridgerton tende a risvegliare un certo sopito sentimento tipo “io non sono razzista ma…”. Andiamo avanti.
Ad ispirare la serie di Shondaland è la saga scritta dall’americana Julia Quinn, autrice di decine di romanzi pluripremiati e tradotti in più di trenta lingue, ed è composta da otto romanzi, il primo dei quali ‘Il duca e io’ è alla base della prima stagione. I primi tre romanzi sono pubblicati in Italia e nel corso del 2021 usciranno gli altri cinque libri. Secondo il progetto tv tutti i libri saranno adattati per la serie televisiva.
La storia si svolge tra il 1813 e il 1827 e racconta le vicende degli otto figli del visconte Bridgerton: In questa prima stagione seguiamo Daphne Bridgerton, interpretata da Phoebe Dynevor, la primogenita in età da marito. Quando suo fratello rifiuta i suoi corteggiatori, il giornale scandalistico dell’alta società londinese gestito dalla misteriosa Lady Whistledown – che in inglese è doppiata dalla mitica Julie Andrews – diffonde calunnie sulla giovane donna. Daphne deve quindi destreggiarsi tra la sua immagine pubblica e la sua attrazione per il bel duca di Hastings, uno scapolo ricercato da tutte le mamme delle debuttanti, ribelle e con un passato di grande sofferenza interiore. Nonostante i due fingano per motivi diversi di essere fidanzati, le scintille volano. E tanto. Il periodo è quello della reggenza, dovuta alla pazzia di Re Giorgio. Fra i vari personaggi compare anche la regina Carlotta, che aveva sposato Giorgio III nel 1761, e che nella serie viene rappresentata come nera. Bridgerton sta facendo tornare di attualità la questione che Carlotta possa essere stata la prima persona della famiglia reale britannica con origini africane: una cosa di cui si parla da diversi anni ma che è oggetto di discussione tra gli storici, che non l’hanno però mai esclusa.
Si può dire, inoltre, che Bridgerton è una delle prime serie frutto degli accordi inclusivi varati di recente a Hollywood per rendere il cinema più egualitario, nei temi trattati e nella scelta degli attori. Bridgerton non è un period drama alla Downton Abbey, produzione straordinaria che amo molto, ma un racconto che usa setup da feuilleton per giocare con un ironia totalmente surreale e violenta sui contenuti! Allo stesso tempo però ribadisce i cliché del genere e riesce a parlare di temi fortissimi quali il razzismo, la posizione delle donne, la libertà sessuale e la divisione fra classi sociali. Shonda ha costruito abilmente uno specchio del nostro mondo attraverso un filtro molto più funzionale e forte di quelli che vengono usati sui social tipo Instagram, Tik Tok o altri, dando una vera lezione di scrittura post-moderna dove sono evidenti i motivi del successo della serialità come spettacolo televisivo rispetto agli altri, come gli agonizzanti reality specie se con vip.
Romanzare la storia
Il period drama piace e mi piace. Oltre lo splendido e citato Downton Abbey ce ne sono molti altri anche particolari. CRANFORD è una serie del 2007 con Judi Dench, tratta dal romanzo di Elisabeth Gaskell, la serie narra le vicende di un gruppo di anziane vedove che vivono in un fittizio paesino della campagna inglese e si vedono scompigliare la loro tranquilla routine da vari eventi. Ambientata a Birmingam nel primo dopoguerra, PEAKY BLINDERS è una serie intensa, violenta, emozionante e anche con notevoli lati al limite del tamarro, ma la sua forza sta nell’essere un period drama che si sporca le mani. La serie della BBC parla della vita di una famiglia di immigrati irlandesi che tramite una rete di atti criminali si guadagnano da vivere. Oggi è recuperabile su Netflix, è diventato un cult, e ha rilanciato di moda la coppola.