Dopo quasi 70 anni e già due adattamenti cinematografici, il romanzo di Patricia Smith continua a ispirare, e se ma ci fosse ancora qualche dubbio sulla necessità di un ennesima trasposizione è giunto il momento di toglierselo: Ripley sarà pur una serie su una storia già sentita, ma così, come sta facendo Netflix, non era mai stata raccontata.
Partiamo dal fatto iniziale: di Tom Ripley non si sa nulla. È sfuggente, difficile da trovare, cambia spesso nome, fattezze e residenza. Quell’attuale, a New York, è divisa con dei coinquilini tremendi: topi, con cui Ripley fa fatica a condividere i suoi spazi. Si prende cura di loro lasciando qualche trappola sparsa qua e là sulle mensole del suo appartamento angusto, arredato alla buona, con giusto un letto e una scrivania, dove batte a macchina le lettere che usa per truffare le sue vittime. È un tipo strano Tom, si limita consumare le giornate una dopo l’altra, pensando al modo più semplice per sopravvivere, ma da quando ad Atrani ha conosciuto Dickie, il figlio del ricco signor Greenleaf che doveva convincere a tornare negli Stati Uniti, la sua visione è cambiata. Ciò che ha non gli basta più, gli piace la bella vita di Dickie e vuole rubargliela. Ma anche così è troppo semplice. Tom è fortemente attratto dall’essere Dickie Greenleaf in maniera esistenziale e non solo per il tenore di vita.
Tom è il protagonista di Ripley, la nuova serie Netflix, nuovo riadattamento del romanzo di Patricia Highsmith Il talento di Mr. Ripley, lo stesso che ispiro l’omonimo film di Anthony Minghella con Matt Damon, Gwyneth Paltrow e Jude Law e Delitto in pieno sole di René Clément con Alain Delon.
Tom Ripley è un truffatore che vive a New York, si guadagna da vivere chiedendo alle persone crediti che non gli spettano, falsifica documenti e conduce un’esistenza banale e priva di senso. Un giorno viene avvicinato da un investigatore provato che gli fa conoscere il signor Greenleaf, ricco proprietario dei cantieri navali Greenleaf, che vorrebbe riportare a casa suo figlio Dickie, da tempo in giro per l’Europa. Tom viene ingaggiato per il compito e parte alla volta di Atrani, iconico borgo della costiera salernitana. che raggiunge dopo un viaggio per nulla comodo e qualche peripezia linguistica con gli abitanti del posto. Una volta incontrati Dickie e la sua compagna, Marge Sherwood, Tom scopre un nuovo modo di vivere: comodo e spensierato. Un nuovo modo di essere. Come se fosse la peggior versione del Gatsby di Fitzgerald, inizia la sua ascesa sociale, vuole prendere il posto di Dickie e godere delle sue ricchezze.
La serie diretta da Steven Zaillian, premio Oscar per la sceneggiatura di Schindler’s List, è un moderno salto nel passato. Girata in un bianco e nero che sa di vintage ma mai di vecchio, unisce l’hard boiled, nella sua sfumatura più noir, al thriller, riuscendo a dar vita ad atmosfere intense, coinvolgenti e per nulla noiose. La storia di Ripley racconta il lato più oscuro dell’ambizione, forse da sempre insito nel protagonista che, una volta assaggiata una vita fatta di agio e ricchezza, è disposto a tutto per non perderla, venendo meno a ogni tipo di etica morale ed arrivando così alla famosa “amoralità” della creazione di Patricia Highsmith. Il Ripley di Andrew Scott è inquietante, ha il sorrisetto di chi non la racconta giusta, quello che sfoggiano le persone di cui, nel mondo reale, non ti fideresti mai. Per assurdo è proprio con quel ghigno in volto che si guadagna la fiducia di tutti, anche del malcapitato Dickie Greenleaf, interpretato dall’ottimo Johnny Flynn, che si apre inspiegabilmente nei suoi confronti. Il personaggio di Tom evolve, passando dall’essere l’aiutante del signor Greenleaf a essere il suo peggior carnefice. Il suo è un narcisismo patologico, lo porta a essere cinico, senza scrupoli ma sempre orridamente lucido, lo è quando progetta i suoi omicidi e i suoi inganni, e risulta paradossalmente umano quando gli serve esserlo.
Ripley è quasi totalmente girata in Italia, teatro perfetto che diventa un protagonista nascosto. La scelta del bianco e nero, gli anni ’60 e il dolce far niente di Dickie, rimandano a sensazioni felliniane con un amore della geometria per la fotografia. La colonna sonora contribuisce nel creare quest’atmosfera, la si respira a pieno quando dal giradischi della villa di Atrani si sente la versione di Mina de Il Cielo in una Stanza o quando Fred Buscaglione e Tony Renis fanno da sottofondo alle chiacchierate in terrazza con Marge. Steven Zaillian non ha auto bisogno di alcun colore per dipingere la sua opera, si è imposto affinché non ne avesse, andando contro il parere dei produttori. Alla fine ha avuto ragione lui: Ripley è bella proprio perché diversa. È un’eccezione nel catalogo Netflix, colmo di sufficienze e buoni prodotti, ma spesso con pochi eccellenze, a oggi è la serie più interessante tra quelle proposte, insieme ai Gentlemen di Guy Ritchie, e non tarderà a scalare i vertici della classifica delle più viste. Ci riuscirà anche grazie a Andrew Scott, che propone una versione di Ripley distante dalle precedenti, soprattutto da quella di Matt Damon del ’99, il suo Tom è più maturo ed esperto, di conseguenza a anche più crudo e diabolico. La stessa versione di Minghella si discostava dal libro, quella della nuova miniserie risulta più fedele, e forse più apprezzabile dai fan del romanzo di Highsmith. Johnny Flynn e Dakota Fanning completano il trio di attori protagonisti, il primo, visto recentemente in One Life, interpreta un Dickie che sembra lo stereotipo del turista americano innamorato del Belpaese, mentre la seconda è la sua silenziosa compagna, forse la prima a dubitare della vera natura di Tom. Il risultato è una miniserie che invita a farsi vedere soprattutto puntata dopo puntata.