House of Cards, con Kevin Spacey, prodotta da Netflix, prende 13 nominations agli Emmy Awards.
L’avete sentito tutti qualche volta: la tv è morta, adesso c’è la rete, solo i vecchi guardano certe cose, ecc. Non è andata così. Se c’è qualcosa che ha aiutato la tv è stato sicuramente l’elemento social, twitter in primis. La televisione è cambiata, ma lo schermo è rimasto, anzi è tornato più forte che mai in un connubio che mette la narrazione al primo posto, non prendete questo per una situazione che va dal generale al particolare, soprattutto perché l’offerta nel mondo è veramente variegata anche all’interno di ogni paese.
Sono uscite le nomination degli Emmy Awards 2013. Leggo articoli che parlano della grande sorpresa dell’anno, 13 nomination per House Of Cards. Per me la sorpresa sono le 15 de Il trono di spade, visto che, e lo dico da lettore dei libri di R.R.Martin, la terza stagione era ampiamente sotto le aspettative. Una strategia narrativa pessima che sottolinea dei passaggi ai fini del racconto totale, però vi siete tutti accontentati con Le nozze di sangue e Le piogge di Castamere.
La sorpresa è una serie che parla di politica fatta negli Usa, con due grandi attori come Kevin Spacey, che merita l’emmy per l’interpretazione, e Robin Wright. Spacey è anche produttore esecutivo, insieme a David Fincher, quello di Fight Club e Zodiac, e Beau Willimon, sceneggiatore de Le Idi di Marzo, con George Clooney alle prese con intrighi politici, che ha adattato il romanzo di Micheal Dobbs. Ora, la sorpresa sta nel fatto che il produttore è Netflix, quindi tutto va in streaming, ma a pagamento. Io non mi sorprendo di nulla, perché avendola vista è sicuramente uno dei titoli migliori degli ultimi anni. Questo lo dico come spettatore. Se mi sposto nel lato dell’analisi sul mercato dei top player allora c’è qualcosa di nuovo, anche per la rete stessa, che smette di essere solo il portatore, dei contenuti, ma può costruirli con nuove strade. In Italia non abbiamo ancora Netflix, si pensa che il prossimo anno potrebbe essere quello giusto, ma sono rumours che rimbalzano da un anno circa.
All’inizio dell’anno era arrivata la dichiarazione di Piersilvio Berlusconi dell’idea di creare una Netflix italiana. Davvero buona, ma francamente non vorrei che anche le mie connessioni venissero inquinate da Gabriel Garko e Manuela Arcuri. Eppure ci vorrebbe lo sbarco di Netflix in Italia, la barriera linguistica sarebbe abbattuta dall’uso dei sottotitoli, oggi le community sono bravissime e magari si potrebbe iniziare una produzione più di stampo europeo, o magari a target. Quello che ci vorrebbe è una sveglia che rompesse un meccanismo malato, sicuramente consociativo (perdonate l’espressione) che vada davvero ad affrontare la serialità italiana, spesso troppo adagiata nelle sue macchiette e nei suoi vizi, con un cinema ancorato a sogni artistoidi stantii.
Però tanto è solo tv. Oppure no?