«Allora gli amorosi concetti dell’anima appalesavansi con quella semplicità colla quale nascevano, nè conoscevasi quel giro artifizioso di parole che li rende ora pericolosi, nè si sapeva che cosa fosse la frode; e nella verità e nel candore non frammischiavasi la malizia o l’inganno. La giustizia esercitava i suoi diritti senza che osassero recarle offesa l’interesse o il favore, dai quali a’ nostri giorni è contaminata e avvilita: e non conosceva la legge che cosa fosse arbitrio di giudici, perchè non eravi allora materia da giudicare o di cui domandare sentenza. » Queste parole di siffata grandezza non son mie, ma da me rubate da quel capolavoro della letteratura mondiale, composto poscia l’inizio del 1600, che è il Don Chisciotte di Miguel de Cervantes. Qui il cavaliere errante si perde in una ben lunga esaltazione nostalgica dei “tempi che furono” dopo aver assaporato la carne e le ghiande che alcuni caprai condividono per cena seduti su un trogolo rovesciato.
“I social network sono un fenomeno positivo ma danno diritto di parola anche a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Ora questi imbecilli hanno lo stesso diritto di parola dei Premi Nobel”
Questa è la famosa frase di Umberto Eco che viene ossessivamente citata da tutti, fautori anti-social e anche dalle stesse “legioni di imbecilli” che un po’ si odiano parlando male di se stesse. Eco la disse quando fu insignito di una laurea honoris causa a Madrid. Subito dopo il semiologo e narratore fu subissato di insulti. Lo stesso Eco pochi mesi dopo precisò che il suo bersaglio non erano tanto i social ed i frequentatori dei social, ma in generale un certo laissez-faire dei vertici strutture educative ed anche dell’informazione sugli strumenti in merito. Eco disse anche “Il computer non è una macchina intelligente che aiuta le persone stupide, anzi è una macchina stupida che funziona solo nelle mani delle persone intelligenti.” Certamente “il medium è il messaggio” come dice sempre san McLuhan – io da studioso di comunicazione lo ricordo nelle orazioni serali del mio pantheon personale – ma non possiamo dimenticare che i social sono abitati da persone. E da parole. E le parole fanno male.
Facciamo un esempio. Parliamo di tv. Specialmente di talent e reality. Ogni tanto leggete che un programma sta andando “benissimo”, grande successo e sotto c’è scritto “sui social se ne parla tantissimo”. Conoscendo ed avendo lavorato nella tv vado a vedere gli ascolti e vedo dei risulti bassi o mediocri. Come mai? Semplice. Basta rivolgersi a dei professionisti che preparano dei “bot” per farsi che alcuni argomenti risultino più forti nel sentiment e negli algoritmi. Inoltre, non è detto, chi frequenta i social lo sa, che se ne parli bene! Basta ripetere a pappagallo il buon vecchio Oscar Wilde, meglio leggerne i libri, il solito refrain “basta che se ne parli”. No! Nell’epoca della brand reputation, dell’advocacy, del customer marketing, il “basta che se ne parli” è una fesseria! Il 90% delle persone compra un oggetto dopo aver letto le recensioni degli utenti.
Adesso poi ci sono le elezioni e ci prepariamo a tutto il sondaggio minuto per minuto e a interi speciali in tv, radio e carta stampata su “la democrazia è morta ed i social hanno distrutto tutto. Mannaggia a TikTok!” Se si accedesse ad un archivio di soli 10-15 anni, non qualche secolo, vedremo tg ed interi format tv fatti di interviste, bene montate dopo le riprese, a persone che si lamentano. Di cosa? In generale. La nostalgia, e la lamentela come corollario, esiste dal giorno due dalla creazione o dal big bang, secondo la vostra visione cosmologica. Prima c’era il bar, poi i giornali con le lettere al direttore e andiamo avanti fino ai social. Noi leggiamo sempre le lamentele sui social anche perché i nostri occhi vanno sempre lì come prime cosa. Ci sono tanti che gli rispondono contrari e tantissimi che non scrivono. Come dice lo zen “fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce”, solo che non conviene ammetterlo. Sennò con chi me la prendo? Quello che bisogna comprendere è che la complessità del nostro mondo è in continuo aumento, è l’entropia dell’universo – si, ho fatto lo scientifico – e noi non facciamo eccezioni. Umberto Eco in una delle sue Bustine di Minerva – ogni settimana su L’Espresso – in una raccontava della durata della fine di un impero: quello romano, ottomano, cinese, asburgico e sovietico. Diceva che non si può mai evitare di calcolare le conseguenze di un gesto senza studiare la sua storia. Non aggiungo altro, anche perché uno dei motivi della mia pausa dai social, oltre la salute, è stata l’essere stato definito un pro-Putin, un “assassino con le mani sporche di sangue” e altre amenità perché ho sottolineato alcune distorsioni nella narrazione fatta da una parte dell’informazione circa questo conflitto. Nulla di più. Concordo con quanto dice in ANNIENTARE Michel Houellebecq, dove sottolinea la parabola di alcune élite che non vogliono arrendersi alla nuova evoluzione della società postmoderna, dove la comunicazione è più orizzontale, tutto è più liquido, e cercano, quindi, di esasperarla. Sono tanti gli operatori dei media e dell’informazione che puntano continuamente su una comunicazione aggressiva, livorosa e “cattiva”. Una vera e propria fabbrica dei nemici e degli eroi. Siamo sulla soglia di qualcosa di diverso e questo ci fa paura ed è per questo ci affidiamo a delle certezze che non esistono più e che non sappiamo come rimpiazzare. I social con la loro immediatezza diventano valvole di sfogo. Vuol dire che i social sono perfetti? Assolutamente no! Vuol dire che siamo tutti legati e connessi come ben esprime il mito della rete di Indra, la dea induista della folgore: l’universo è avvolto da una rete dove tutti siamo interconnessi. Non possiamo pensare che con l’odio andremo avanti. Anche nei social.