Una volta lo storico Eric Hobsbawn prima di morire disse: “I fatti sono più importanti delle teorie.” L’autore de Il Secolo Breve è stato uno degli storici più importanti ed acuti dell’ultimo secolo e non voleva sminuire il ruolo della ragione o della filosofia, quanto piuttosto mettere l’accento su una questione importante: la percezione.
Oggi una delle parole più di moda è storytelling, nel bene e nel male rappresenta qualcosa di importante, non solo per chi si occupa di comunicazione, ma per tutti. Mi è capitato di leggere un post di The Vision in cui si segnalava come noi italiani siamo i primi in Europa per la distanza in cui percepiamo la realtà rispetto al racconto. Lo storytelling è anche l’arte in cui costruiamo o viene costruita la realtà che ci circonda. La fonte è l’istituto Ipsos e si concentra su due temi fondamentali: economia e sicurezza. Temi caldi e cari alla politica di casa nostra. Ne cito un paio di passaggi:
“nel 2014, a fronte di un tasso reale di disoccupazione del 12%, gli italiani credevano che nel loro paese ci fossero il 49% di disoccupati, come se un italiano su due stesse cercando lavoro senza trovarlo. Gli italiani credono di avere un’economia simile alla Grecia, quando in realtà quest’ultima ha un Pil equivalente più o meno alla sola Lombardia. L’Italia è la seconda manifattura d’Europa e una delle prime dieci economie mondiali, ma più di un italiano su 7 non lo sa. Rispetto alla popolazione: gli over 65 attualmente rappresentano il 22% della popolazione totale, ma per l’opinione pubblica italiana corrispondono al 48% del totale. L’età media è 45 anni, ma gli italiani pensano che sia di 59.”
“Secondo il 64% degli italiani, dal 2000 a oggi gli omicidi sono aumentati, quando in realtà hanno visto un calo vertiginoso e sono diminuiti del 47%: solo l’8% della popolazione però ne è consapevole. Basti pensare che nel 2016, in tutta Italia, ci sono stati la metà degli omicidi che nella sola città di Chicago: 397 contro 762.”
E’ evidente che c’è una distorsione forte nella percezione, pensiamo anche ai dati sull’immigrazione: gli immigrati extraeuropei rappresentano nel nostro paese il 7% della popolazione totale, ma per la nostra opinione pubblica sono il 25%, ovvero uno su quattro. Il 47% degli italiani crede che ci siano più clandestini che migranti regolari, mentre gli irregolari rappresentano circa il 10% del totale dei migranti. Oggi l’Istat ha comunicato come il saldo degli italiani che nel 2018 hanno lasciato il nostro paese per motivi di lavoro sia superiore quello degli extracomunitari arrivati per lo stesso motivo.
Sarebbe facile, come fanno alcuni, dire che è colpa dei social e di internet – naturalmente lo fanno proprio utilizzando post su Facebook, twittandolo o addirittura un video breve su Tik Tok – in realtà le motivazioni a mio avviso sono ben più profonde. Poche settimane fa il rapporto OCSE-PISA mostrava come solo una quota di meno del 10% dei nostri giovani riesce a comprendere un testo e a distinguere immediatamente una fake news da una notizia reale. Inoltre se proprio c’è un abuso, direi che è quello dei sondaggi che è ormai sono entrati in ogni istante ed ogni ambito del quotidiano degli italiani. Spesso sentiamo dire di fronte ad obiezioni di dati e di fatti frasi del tipo “Ma allora pensate che il 28% degli italiani siano stupidi o si sbagliano!”
Quando il 30 ottobre del 1938 Orson Welles dal Mercury Theatre disse che gli alieni erano atterrati sul nostro pianeta in molto ci hanno creduto. Era falso, era la più grande trovata di un grande genio che aveva dato vita ad un esperimento sociale ed artistico incredibile. Se fossero stati il 28% a crederlo si sarebbe tramutato in verità? Evidentemente no. La famosa “dittatura della maggioranza” è un espressione che già coniò nel XIX secolo Tocqueville ed intende quanto possa essere fuorviante il concetto che l’opinione comune, quello cioè maggioritaria, sia la più corretta ed esatta per un argomento.
Ricordiamo sempre quello che disse il grande Marshall McLuhan ne Gli Strumenti del Comunicare: „Tutti i media hanno come primo fine quello di ammettere nella nostra vita percezioni artificiali e valori arbitrari.“