Da un po’ di anni i francesi stanno investendo nel mondo della serialità televisiva per scrollarsi di dosso quella ormai desueta patina di eccessivo buonismo che avevano i loro prodotti tv, al contrario di altri tipo di produzione intellettuale. Anche Pax Massilia (Blood Coast, il titolo in inglese), uscita lo scorso 6 dicembre su Netflix, non è da meno rientrando perfettamente nel solco oramai tracciato.
Marsiglia è la seconda città più importante di Francia dopo Parigi. Affacciata sul Mediterraneo è sede di uno dei più importanti porti europei ed è considerata una tra le città più pericolose di tutto il mondo. Non stupisce quindi che questa prima stagione composta da sei puntate della durata circa cinquanta minuti l’una sia ambientata nelle sue strade, tra il Vieux Port e le sue banlieues, luoghi abbandonati dalle istituzioni dove regna il caos e vige la legge del più forte.
Ideata da Kamel Guemra (Proiettile vagante e C’est tout pour moi) questa prima stagione ha come protagonista una squadra di poliziotti della narcotici di un commissariato cittadino. Il gruppo è composto da tre uomini e due donne impiegati nella continua lotta contro la criminalità collegata al traffico di droga. Ognuno di loro è ben lontano dall’essere un cavaliere senza macchia e senza paura e nel corso delle puntate i problemi di ciascuno verranno fuori intralciando il corso della giustizia e mettendo a dura prova i legami di amicizia e di fedeltà.
Pax Massilia, però, non si limita a seguire l’eterna lotta tra il Bene e il Male. Sarebbe troppo semplice e scontato. Così, la squadra di sceneggiatori decide di complicare le carte in tavola affinché per lo spettatore non vi siano certezze alle quali appigliarsi. Certamente i risultati non sono sempre di altissima ma qualità ma aiutati da una colonna sonora ed una fotografia che sanno fare il loro lavoro.
Ma andiamo con ordine. La serie si apre con un funerale. Il peggiore al quale si possa assistere. La bara, infatti, è bianca ed è quella di un bambino. Una nutrita folla è distrutta dal dolore. A essa se ne aggiunge un’altra composta da agenti di polizia in borghese e in tenuta d’assalto. Scortano un detenuto venuto rendere omaggio alla salma. L’uomo ha i capelli e la barba lunghi, e l’aria decisamente affranta. Nel bel mezzo di un lungo momento di cordoglio un terzo gruppo comincia a sparare per liberare il detenuto riuscendo nell’impresa e lasciando a terra un nutrito numero di vittime.
Un inizio forte che ben predispone lo spettatore al prosieguo. L’azione riprende otto mesi dopo la carneficina e nell’arco di qualche scena ci vengono presentati i protagonisti. Da una parte, come detto, c’è la polizia. Dall’altra i malviventi. In mezzo, una serie di personaggi più o meno loschi, distribuiti equamente da una parte e dall’altra, a fare da sottobosco e arricchire la storia. Almeno nelle buone intenzione degli autori.
A dirigere le puntate di questa nuova produzione Netflix è stato chiamato niente meno che Claude Marchal, considerato ormai il maestro del polar (neologismo francese nato dalla fusione di due generi cinematografici e letterari: policier e noir).
La mano del regista è chiara, netta. Nonostante le giornate soleggiate l’atmosfera è cupa, carica di fatalità. Si respira un’aria pesante, impiombata dall’enorme quantità di proiettili sparati per le strade. La violenza di certe scene è edulcorata dalla musica che spezza i lamenti dei morenti, come a voler alleggerire il tutto, risultando, invece, ancora più spietata e sanguinaria.
È palese la mano di un regista che conosce molto bene il suo mestiere, e proprio per questo si ha l’impressione di essere di fronte a un esercizio di stile. Perché c’è tutto, in Pax Massilia: sesso, droga, violenza, morti ammazzati. Ma manca quel quid che l’avrebbe resa un capolavoro del genere.
La sensazione che resta sulla pelle è quella di aver già visto tutto. Brutale, molto efficace, sempre sull’orlo del precipizio ma incapace di spingersi oltre, di gettare il cuore al di là dell’ostacolo. Come se gli autori non avessero osato prendersi dei rischi preferendo restare là, sull’orlo del baratro, per non precipitare nel vuoto.
Marsiglia è meravigliosa, sullo sfondo. Pulsa, si agita, freme. Fa venire voglia di andare a visitarla, di viverla, di capirla. Non solo per la sua particolare bellezza ma anche, e soprattutto, per i personaggi che l’abitano, che lo fanno con quella sicurezza e sfrontatezza che ricorda un po’ la prima Gomorra che tanto abbiamo amato. Con una differenza sostanziale: da una parte la polizia, i buoni. Dall’altra i malavitosi, i cattivi.
Ed è proprio qui che sta il grosso problema. Probabilmente troppo inquadrati nei rispettivi ruoli tanto da risultare persino macchiettistici in alcuni frangenti (e certi dialoghi, purtroppo, non aiutano) gli autori hanno voluto confondere i confini tra legalità e illegalità regalando a ciascun personaggio una doppia faccia. Così il buono lascia intendere di non esserlo del tutto e il cattivo dimostra di avere un cuore e un’etica, tutta sua.
Risultato? Fantasmi del passato che ritornano, demoni da esorcizzare, colpe da espiare e trasgressioni da espletare. Molti cliché e non abbastanza coraggio, da parte degli autori, di prendere posizione. Una posizione che faccia esclamare, in positivo, allo spettatore: cosa ho appena visto? Comunque resta un prodotto medio valido a cui dare senza dubbio una possibilità per una seconda stagione. Magari osando di più nel concept e meno nell’action.