Siamo arrivati alla sesta stagione di Black Mirror, la creatura di Charlie Brooker. Già questa di per sé è una notizia per la serie tv antologica più famosa del mondo. Allo stesso tempo sono ormai da anni, da quando è stata acquisita da Netflix, che Black Mirror si scontra a ogni stagione con le stesse domande: ha finito le idee? Si è appiattita, commercializzata, involgarita? È colpa dell’algoritmo che ne ha rasa al suolo la creatività e l’ha trasformata in una serie di innocue favolette che non nascondono nulla oltre lo shock del primo impatto? Oltre questo ci sono le narrazioni su un Charlie Brooker ipocrita arricchito che beve margarita con la destra e scrive gli episodi con la mano sinistra, tutto questo mentre decine di milioni di fans sperano che un giorno tutto possa tornare come allora, come una volta. La nostalgia è la vera droga del nostro secolo, il segno evidente che il futuro è una merce morta.
Però è davvero così? E se Black Mirror stesse cambiando? Non dico in positivo, dico soltanto che forse Brooker e gli altri hanno iniziato ad orientarsi verso qualcosa di diverso.
Cinque nuovi episodi, cinque nuove storie che hanno come obiettivo quello di mostrare quanto possa essere orripilante l’essere umano quando si specchia nello schermo nero dei propri dispositivi tecnologici (e in generale nel suo rapporto con la tecnologia o con i media). Ecco allora che in Joan è terribile una donna scopre suo malgrado che una nota piattaforma streaming sta realizzando una serie basata sulla sua vita. In Lock Henry, invece, una coppia di documentaristi scopre un’intrigante storia collegata a scioccanti eventi del passato, finendo però con lo spingersi troppo in là con la ricerca dello scoop.
I primi tre episodi della sesta stagione di Black Mirror ci hanno rivelato una risposta rassicurante: la serie non ha perso lo smalto e quando trova l’idea giusta è ancora capace di stupire. Ci hanno però anche rivelato una tendenza ad abbandonare il futuro più o meno lontano nel tempo per dedicarsi al presente, e al modo in cui certe tecnologie e le loro conseguenze non solo cambieranno il mondo tra trenta o cinquant’anni, ma lo stanno già cambiando ora. Un piccolo cambio di prospettiva che fa solo da antipasto a quello che succede negli episodi 4 e 5, intitolati Mazey Day e Demon 79. Qui è dove Black Mirror fa, per la prima volta da anni se non nella sua intera storia, qualcosa di nuovo e mai provato prima. E qui è dove Black Mirror rischia di perdere per strada una bella fetta di fandom – quella che, nel binomio tra tecnologia e incubi che caratterizzava le prime cinque stagioni, ha sempre creduto che la prima fosse un elemento irrinunciabile e caratterizzante.
Con Mazey Day e Demon 79, Black Mirror dice addio alla tecnologia, rivelando quindi in retrospettiva una verità sconvolgente su sé stessa: anche se le togli tutto quello che l’ha caratterizzata finora a livello estetico e anche tematico, la serie di Charlie Brooker può continuare a fare quello che ha sempre fatto, e cioè satira feroce, osservazioni ciniche sull’attualità raccontate attraverso la lente deformante del futuro. Finora Black Mirror non aveva mai tentato di usare invece la lente del passato, non aveva mai avuto il coraggio di staccarsi dall’idea di costruire tutte le sue storie intorno a realtà virtuale e aumentata, social network e viralità. La sesta stagione lo fa ben due volte – la prima con un po’ di prudenza, la seconda senza alcun pudore.
Concentriamoci proprio su questi due episodi che sono quelli che più di tutti hanno provocato contestazioni nello zoccolo duro del fandom. Cerchiamo per un po’ di smettere di aggiungere strati di interpretazione a Black Mirror sperando che finisca per assomigliare a quella cosa che ci piaceva un tempo, e accettare che ormai Charlie Brooker ha voglia di fare altro. Lo so che questo proprio per molti sa di tradimento, ma troppo spesso il cambiamento sa di tradimento perché non sa accettarlo. Mazey Day è un episodio horror, fatto e finito. Demon 79, il quinto e conclusivo episodio, lo è ancora di più: qui il lato hi-tech di Black Mirror viene definitivamente messo da parte, sostituito da una commedia horror ragionevolmente sanguinolenta che parla di una ragazza che viene posseduta da un demone e ha tre giorni per ammazzare tre persone, pena l’Apocalisse. Anche qui è chiaro che l’episodio vuole parlare d’altro, e senza neanche scavare troppo: è ambientato nel 1979, primo anno del primo governo di Margaret Thatcher, ha per protagonista una ragazza inglese di origini indiane, e uno dei personaggi centrali dell’episodio è un politico conservatore locale con legami stretti con il National Front. Demon 79 parla quindi di razzismo, integrazione e, una volta destoricizzati e riletti i temi centrali dell’episodio, di Brexit, una delle robe che più turbano Charlie Brooker in assoluto. Più che parlare di futuro o di presente è un episodio che parla della ciclicità di certi fenomeni, di come 1979 o 2023 non facciano troppa differenza se non hai la pelle bianca.
A mio avviso ha deciso di parlare del presente con gli strumenti dell’horror avvicinandosi alla lezione di Neil Gaiman, maestro indiscusso del mescolare i generi con il sarcasmo e la critica sociale. Questo non piacerà a parecchie persone e se fossi in Charlie Brooker preparerei un episodio in cui un creativo è chiuso dentro case con una selva di demoni che lo aspetta fuori per costringerlo a tornare al passato. Se però lui volesse continuare a parlare di argomenti importante con la satira e con una grammatica horror, allora Mazey Day e Demon 79 sono anticipazioni promettenti. Comunque sia Black Mirror si lascia sempre vedere.