Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria.
Questa terzina di Dante Alighieri, si proprio il sommo, fa parte del V canto dell’Inferno, forse il più famoso della Divina Commedia nel mondo, comunemente ricordato per “quello di Paolo e Francesca”. Non è, però, mia intenzione discorrere delle coppie famose che cita l’Alighieri, bensì di un tema che attraversa ogni epoca ed ogni età, ma che nell’ultimo ventennio, proprio al cambio di millennio, è diventato non solo mainstream, ma occupa i trend più importanti in maniera quasi patologica: la nostalgia. Dico patologica perché assistiamo a discorsi su stagioni precedenti, magari solo di pochi anni, decantati come se fossero una fantomatica età dell’oro che ora non esiste più. Accompagnati da scuotimenti capo e lacrime di commozione sul viale dei ricordi. Naturalmente questo va a braccetto con un altro tema diventato fortemente popolare, diciamo pure abusato, che è quello dell’Identità. Viviamo una progressiva erosione dell’immanenza del presente tanto che molto presto arriveremo a fare celebrazione per la settimana appena passata come “tempo perfetto”. Naturalmente questo si pone nel solco dei luoghi comuni espresse da frasi come “oggi i mocciosi hanno tutto, non sviluppano più la fantasia!” e tante altre. Tutte declinazione del latino O tempora O mores!
Quella della gioventù ignorante e peggiore della generazione precedente è un luogo comune abbastanza diffuso e che ha accompagnato la fake news di un paio di settimana fa che diceva come la maggior parte dei ragazzi fosse “analfabeta funzionale”, cioè non riuscisse a comprendere il senso di un testo, detto in maniera veloce. Una vera fake news, poi smentita, tanto che ricerche più complete illustrano che la quota di analfabeti funzionale è maggiore dalla fascia over 50. Quindi?
Io, per ragioni di storia medica – ho avuto un’amnesia ,che mi ha fatto perdere in maniera permanente molti ricordi, causata da un tumore al cervello e da una patologia neuropsichiatrica con cui convivo – ho un rapporto ambivalente e diverso con la “nostalgia”. Ho nostalgia di quello che ho perso, per mia fortuna oggi riesco a convivere quasi serenamente con questo trauma – a momenti – però allo stesso tempo sono molto ancorato al mio presente, grazie ad una frequentazione con le discipline orientali, non fa male guardare altrove, non danneggia quella “costruzione sociale” che è l’identità. La cosa di cui mi accorgo è che molto spesso c’è nostalgia di qualcosa che non è. Non ho detto “non c’è” ma proprio “non è” come non è stato.
Dice Kundera: In spagnolo, “añoranza” viene dal verbo “añorar” (“provare nostalgia”), che viene dal catalano “enyorar”, a sua volta derivato dal latino “ignorare”. Alla luce di questa etimologia, la nostalgia appare come la sofferenza dell’ignoranza. Molto spesso se si vanno a verificare i dati ed i riscontri con quello che si evince attraverso queste narrazioni della nostalgia – perché questo sono: narrazioni – e che i fatti non suffragano i racconti. Questo è alla fine la nostalgia: un racconto, molto spesso un rimpianto, quasi sempre della giovinezza, si unisce alla paura della morte, ma soprattutto al rimpianto.
Sempre il premio nobel Kundera scrive: La nostalgia è la sofferenza provocata dal desiderio inappagato di ritornare. Una citazione che esprime il senso stesso del rimpianto. Però un altro grande poeta portoghese come Fernando Pessoa scrive: Non c’è nostalgia più dolorosa di quella delle cose che non sono mai state!
Ed è qui che la nostalgia travolge la memoria, la storia e diventa prima invenzione e soprattutto prigione!
Avendo conseguito un Master sul turismo delle radici e collaborando con un laboratorio internazionale sullo sviluppo del Rooting, credo in maniera forte nella funzione delle storie, nell’importanza del cercare e trovare le proprie radici e, soprattutto, il proprio radicamento. Ci credo perché l’identità non è un monolite come molto spesso vogliono farci credere, basta aprire un libro di storia per comprenderlo, ma ci sono divulgatori a cui interessa fare del cattivo marketing e dire che tutto prima era “più” , non importa cosa ma era più e che loro lo sanno e lo hanno sempre detto. La nostalgia impedisce di comprendere come la memoria possa essere motore di cambiamento. Scoprendo chi siamo possiamo incontrare il futuro, ma soprattutto il presente, che è la dimensione nella quale possiamo agire. La celebrazione continua ed incessante del passato diventa una parata dove poi si dimentica l’oggetto stesso che si sta ricordando!
Sono due le parole più pronunciata e abusate da un bel po’ di tempo: cultura e memoria.
Non c’è occasione dove si parli dell’importanza della cultura e della memoria. Diciamo che su cento volte che vengono pronunciate giusto un paio vengono accompagnate da una proposta fattiva.
Che cosa avete contro la nostalgia, eh? È l’unico svago che resta per chi è diffidente verso il futuro, l’unico.
Quest’ultima citazione viene dal film di Paolo Sorrentino, La Grande Bellezza. La trovo efficace, ma incompleta. La nostalgia ha una componete fortissima di vanità, una vanità che ci fa pensare che solo noi abbiamo la “verità” delle cose – non in senso teologico (ma non è detto) – e che ci impedisce di guardare l’Altro. Come ho scritto recentemente in un breve post su FB, di fronte a due frutti, uno conosciuto ma con un pessimo sapore, probabilmente marcio, ed uno nuovo, di cui in molti parlano bene e che sembra davvero buono, si sceglie quello marcio senza neanche dare una possibilità all’altro. Il “conosciuto” è una prigione. Il pensare di avere sempre ragione ci fa scansare il confronto, che alla base delle scelte e delle pianificazioni del futuro. Se poi le cose vanno male c’è sempre una grande scappatoia, proprio la nostalgia! Oppure dare la colpa a qualcuno o qualcosa del presente – fateci caso come i social sono diventati il capro espiatorio, anche se i social oggi abbondano di fan della nostalgia! Se ci pensiamo questo fenomeno è tipico della politica a tutti livelli. Si parla sempre di un passato glorioso che spesso non c’è mai stato e che i dati oggettivi mostrano che non esiste. Qui le storie non vengono ascoltate ma inventate e si pretende, anzi ci si autoconvince che sono vero. La nostalgia è per me un Retròvirus
A volte quando mi capita di essere in mezzo a questi discorsi ho l’impressione di non essere così solo: nel senso che in parecchi sembrano affetti di amnesia.
Coltivare la nostalgia e l’identità con un senso sacrale creano una prigione dalla quale è quasi impossibile uscire. E’ come avere una benda sugli occhi mentre si cammina su un sentiero conosciuto ma dove c’è un burrone. Alla fine si cade.