Non potevo non parlarne. Avevo già ragionato sulla mia pagina FB Io e Simo sull’eleganza della regia e del segno nella bellezza della protagonista completamento a sostegno dello storytelling de La Regina degli Scacchi. Un’epoca dove trionfa il ritorno del neo-barocco – sempre grazie al semiologo scomparso Omar Calabrese -ancora più ridondate che mai, gli scacchi e questa miniserie ci mostrano quanto la semplicità possa rappresentare un fortissimo tasso di complessità. Proprio come uno dei giochi più antichi ed affascinanti di ogni tempo. Anche nell’epoca dove sta uscendo la PS5.
Quando ero bambino, nei lontani anni ’80, ed andavo alle elementari i telegiornali parlavano delle partite per il campionato del mondo di scacchi fra i russi. Ricordo il giovane e smargiasso Kasparov che sfidava il volto più riflessivo e simile ad una sfinge di Karpov. Tutto questo dopo la famosa “diplomazia degli scacchi” degli anni settanta fra Fischer e Spasskij, che sancì un momento di disgelo fra le due superpotenze mondiali Usa – Urss. Gli scacchi sono fra i giochi più praticati nel mondo, si contano circa alcuni centinaia di milioni di praticanti. Ricordo che uno dei campioni del mondo era in grado di ricordare con precisione i numeri di targa delle ultime trenta automobili che aveva visto passare. Sono un gioco dove però non basta solo la memoria, serve intelligenza logico-razionale e anche fantasia nell’applicare intere biblioteche di partite giocate. Questo se il vostro obiettivo è essere il numero uno in tutto il globo. Se invece vi volete solo divertire sono un bel passatempo. Per Elizabeth Harmon sono un ragione di vita, un mezzo di riscatto di una vita difficile, un modo di lottare anche contro il patriarcato. Elizabeth, interpretata da Anya Taylor-Joy, è la protagonista de La Regina degli Scacchi, la miniserie in onda su Netflix, che sta collezionando solo complimenti e successi ovunque.
Il titolo originale è The Queen Gambit, letteralmente Il Gambetto della Regina, e richiama uno schema del gioco, come la Difesa Siciliana ed altri che vengono nominati durante le puntate. Tutto inizia in un orfanotrofio femminile nel Kentucky dove Beth, rimasta orfana dopo un incidente d’auto incontra Jolene, una ragazza vivace e amichevole di qualche anno più grande di lei. Nell’istituto vengono date delle pillole “vitaminiche” per essere “conformi”, in realtà sono dei tranquillanti potenti che rendono le ragazze, fra qui anche la protagonista, tossico-dipendenti. Proprio qui il signor Shaibel, il custode dell’orfanotrofio, impartisce a Beth i primi rudimenti del gioco degli scacchi. Pochi anni dopo, Beth viene adottata da Alma Wheatley e da suo marito. Nella sua nuova casa, Beth decide di iniziare a partecipare a tornei di scacchi. I genitori adottivi si separano ma lei rimane con la madre che diventa una sorta di manager. Vince molte partite venendo notata da altri e sviluppa amicizie con alcuni ragazzi molto importanti per lei, Harry Beltik, Benny Watts e Townes, ma Beth non è una di quelle donne dell’epoca che punta al matrimonio come realizzazione. Gli scacchi sono il suo modo di affermare il suo femminismo e la sua femminilità. Lungo la strada, mentre continua a vincere partite e ad essere più famosa, diventa anche più dipendente da droghe e alcol, così inizia a perdere il controllo della sua vita. Tuttavia alla fine sconfigge il campione del mondo di scacchi in una partita spettacolare, in cui lei effettivamente gioca il Queen Gambit, metafora perfetta dell’intera narrazione. Il suo trionfo ha vari livelli simbolici: un giocatore di scacchi americano sconfigge un grande maestro russo; una donna molto giovane sconfigge un uomo più anziano; e infine, Beth Harmon non diventa campionessa mondiale nel mondo degli scacchi dominato dagli uomini come una combattente solitaria, ma alla fine gode del riconoscimento e del sostegno di diversi colleghi maschi di alto rango.
La narrazione è basata sul romanzo di Walter Tevis edito nel 1983, alcuni dicono sia basato su una storia vera, una notizia circolata in certi forum che non ha trovato conferme, probabilmente perché falsa. Non si capisce mai perché una storia dovrebbe essere sempre più interessante di una inventata, come se non fossero più importanti i criteri di veridicità e verosimiglianza della narrazione. Per alcuni versi ricorda, come invece hanno sottolineato alcuni, il bel film Lo Spaccone del 1961 diretto da Robert Rossen, che lanciò Paul Newman nell’olimpo dell’icone hollywoodiane. Attraverso momenti di disperazione e di commozione, perché Beth Harmon è tutto fuorché una ragazza allegra, lei esplora il mondo, le emozioni, ma è come se – fino alle lacrime finali – le stesse imitando, senza davvero viverle. Come sempre quello che ci tiene incollati allo schermo non sono le partite di schacchi, ma vedere se Beth riuscirà ad essere felice e realizzata. Quello insiemi a quegli incredibili e profondi occhi scuri incorniciati da dei bellissimi capelli rossi.
La protagonista Anya Taylor-Joy, vista in Peaky Blinders, è la perfetta incarnazione di una voglia di emergere dove un’aggressività passiva nasconde una paura dei propri sentimenti. Helen non sa bene come vivere, non ha avuto insegnanti e ha perso le persone che amava. Elegante, soave con quello sguardo sempre spaurito, come se non capisse cosa fa la gente quando, semplicemente, vive la sua vita. Eppure lei vive ed è un simbolo fortemente diverso da quelli proposti nella nostra contemporaneità. La fotografia davvero ben curata le dona intensità al viso insieme ad un fisico che ricorda Audrey Hepburn e Natalie Wood. Ottimo il cast, dove vediamo anche l’ex bambino prodigio di Love Actually, Thomas Brodie-Sangster. Non vanno dimenticati Moses Ingram, la Jolene dell’orfanatrofio, Marielle Heller, la madre adottiva Alma, Harry Melling nei panni di Harry e Bill Campo nei panni del signor Scheibel, il custode che cambierà la vita di Beth, uno di quegli attori che ha una faccia che parla da sola.
Difficile trovare altri giocatori di scacchi nel mondo della serialità, però si può trovare qualcosa di simile nei toni e nelle storie. Genius è una serie antologica del National Geographic e si concentra sulla vita e la genialità di Albert Einstein nella prima stagione. Johnny Flynn interpreta un giovane impiegato con grandi sogni di diventare un educatore, mentre Geoffrey Rush interpreta il brillante scienziato venerato in tutto il mondo. Nella seconda stagione, la storia sposta la propria attenzione sul genio di Pablo Picasso, interpretato da Alex Rich, che mette in scena il pittore in difficoltà alla ricerca del suo stile. Antonio Banderas interpreta invece il leggendario artista al culmine della sua carriera. La struttura del racconto ricorda la Regina degli Scacchi ed i toni rendono le due stagioni da vedere.