“Dottore, Dottore!”
“Che minkia fai Katarella?!? Non mi riconosci?”
“Gnorno dottore!”
“Wallander sono!”
Questo ipotetico, bizzarro, assurdo dialogo, per il quale Andrea Camilleri, vista la sua immensa generosità e simpatia in vita terrena ed oltremondana, mi perdonerà potrebbe succedere perché Kurt Wallander è considerato il Montalbano svedese. Henning Mankell, il suo creatore, è considerato una vera e propria gloria nazionale nel suo paese e non solo. Infatti i dodici romanzi che compongono la serie del commissario in questione – da Assassino Senza Volto a La Mano – sono venduti e conosciuti in molte parti del mondo.
Il Montalbano svedese
Come Moltalbano anche Wallander ha un suo alter ego televisivo, visto anche in Italia, sia su Sky, ma anche sui canali in chiaro, interpretato da Kenneth Branagh, attore di grande fama sia per i suoi ruoli in adattamenti di Shakespeare ma anche per essere stato il dottor Victor Von Frankeinstein. Non finisce qui! Perché come il titolare del commissariato di Vigata, che ha avuto una serie televisiva riguardanti le sue avventure giovanili, anche Wallander non è stato da meno. Per questo mi aspetto che davvero presto ci sia anche una versione incrociata di un “cannolo alla svedese”, magari venduti in comode scatole di montaggio all’Ikea!
Quando un personaggio piace molto si vuole sapere di più, approfondirlo, pensare come si è formato, le scelte che ha fatto che lo hanno portato alla maturità per come noi lo conosciamo. Certamente è la grande magia dei giovani eroi. Oltre al giovane Montalbano pensiamo anche ai libri del giovane Sherlock, alla serie e ai film tv del giovane Indiana Jones. Succede quando un personaggio è talmente forte da potersi permettere più di una timeline di racconto, come quelli appena elencati o come Kurt Wallander, che non ha avuto solo Branagh come interprete, ma ben tre diversi adattamenti televisivi. Young Wallander prende il personaggio di Mankell e lo mette alle prese con il primo caso della sua carriera, quello che gli permette di fare il salto da agente a detective.
Però come se il giovane Montalbano fosse nato alla Bovisa.
Le puntate di Young Wallander sono disponibili su Netflix dal 3 settembre anche in Italia. La struttura è quella del classico crime a sviluppo orizzontale, in questo non riprende quello del suo alter ego maturo, visto che nei libri di Mankell a volte ci si può perdere in un bel dedalo di ipotesi e personaggi. La serie è ambientata nei nostri giorni ed evita così di seguire la cronologia originale dei romanzi, che fanno risalire agli anni ’70 gli esordi in polizia di Wallander. Il cambio di ambientazione è fondamentale, perché il contesto incide in modo evidente sulla storia e sui personaggi: il caso di stagione è quello della morte violentissima di un ragazzino bianco, legato e ucciso con una granata in bocca a Rosengard, quartiere di Malmoe ad altissima presenza di immigrati. Una sorta di banlieue attraversata da tensioni razziali – simile a quelle portate sul grande schermo da L’Odio di Kassovitz – che la polizia fatica a controllare e che rischia di esplodere dopo la morte del ragazzo e il conseguente corteo di estrema destra che, come risposta, vuole attaccare una chiesa che offre rifugio ai migranti. Uno scenario che conosciamo bene, sempre più paneuropeo, e che diviene terreno fertile per una narrazione crime che non si ferma solamente alla risoluzione del caso di puntata, del reato, ma indaga anche l’aspetto umano e relazionale dei vari personaggi. L’approccio della serie può risultare straniante per i conoscitori dell’opera letteraria, per la collocazione temporale e per l’assenza di gran parte dei comprimari storici, che Wallander ha come Montalbano, eppure è l’elemento più interessante di questa nuova trasposizione, che mette a nudo le ipocrisie e i difetti della società svedese odierna come lo facevano un tempo i romanzi, portando avanti un vero e proprio filone di impegno sociale nella letteratura di genere in Svezia (basti pensare a Stieg Larsson, che trasformò in trilogia thriller le proprie esperienze come giornalista investigativo alle prese con l’estrema destra nel proprio paese). O almeno, lo fa sulla carta, perché a livello di scrittura ed estetica lo stile è un po’ troppo pulito e britannico, laddove la versione con Kenneth Branagh catturava perfettamente il grigiore scandinavo, al punto che gli stessi svedesi, inizialmente scettici, dichiararono tale serie il migliore adattamento dell’opera di Mankell. La decisione di girare soprattutto in interni e la grande città quasi aboliscono l’aspetto fortemente nordico, cifra del detective di Mankel, conservato solo dalla performance di Pålsson,. Un connubio di carisma e vulnerabilità da cui partire per un’eventuale prosecuzione di questa rilettura del personaggio, situandolo ancora più apertamente in una realtà nazionale che per ora rimane sullo sfondo (il paragone evidente è con il più riuscito Il giovane Montalbano), lasciandoci con un’indagine interessante ma fin troppo convenzionale, perfetta per chi cerca un bingewatching senza troppe pretese ma anche una piccola occasione sprecata dato il materiale a disposizione. Wallander si lascia guardare senza problemi ed assicura una piacevole visione, però nulla di più e francamente forse ci si poteva aspettare qualcosa di più. Facciamo un’ipotesi: se Salvo Montalbano da giovane l’avessero ambientato nei Quartieri Spagnoli di Napoli, nei vicoli di Bari Vecchia, o nei quartieri operai della Bovisa milanese sarebbe stata la stessa cosa? Sicuramente avrebbe funzionato, ma forse non sarebbe diventato il Salvo Montalbano che noi abbiamo imparato a conoscere ed amare.
Detective venuti dal freddo
Abbiamo parlato spesso del crime scandinavo. Hanno ottimi autori ed ottime serie. Non si può non ricordare Bordertown con protagonista l’amatissimo, da me e non solo Kary Sorjionen. Il suo metodo di indagine basato sulla ri-costruzione degli eventi e delle possibilità dentro un suo “palazzo della memoria” è strepitoso. Gli indizi raccolti ogni volta sono pezzi del puzzle, elementi delle tante possibilità, che ogni volta lui cerca di costruire e poi decifrare entrando nella mente di ogni sospetto. Vi consiglio anche i vari adattamenti di Wallander, a cominciare da quello con Branagh, ma anche dalle produzioni realizzate direttamente in Scandinavia, dove si può apprezzare non solo il metodo di indagine che il commissario creato da Mankell, ma specialmente una pletora di personaggi secondari davvero ben costruiti e che sono ingrediente fondamentale per la riuscita di un crime.