Montalbano e l’omaggio della serie tv a Camilleri

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Il ritorno di Montalbano su Raiuno

Montalbano

Lunedì scorso è andato in onda su Raiuno il primo dei due nuovi film della serie televisiva dedicata al Commissario Montalbano. Chi segue Percorsi Seriali sa che non parlo spesso di serie tv italiane, non è per snobismo o per esterofilia, piuttosto per un percorso che cerco di fare attraverso le colonne del giornale. Certo però sono anche io uno spettatore delle avventure del commissariato di Vigata, ambientato nella bellissima Ragusa, e soprattutto sono stato prima di tutto un lettore del suo deus ex machina, quel grandissimo scrittore che è stato Andrea Camilleri. Una volta Georges Simenon, che non è stato semplicemente il creatore di Maigret, ma uno dei più grandi scrittori del novecento, ha detto: “E’ conoscendo meglio la vittima che si scopre l’assassino.”

Camilleri come Simenon

L’approccio dello scrittore siciliano, purtroppo scomparso, era lo stesso, fondamentalmente psicologico e teso alla ricomposizione di un mosaico dove spesso i tasselli non combaciavano e quando questo avveniva non si forzava mai la situazione attraverso la violenza, ma si cercava di capire che cosa era davvero successo andando a scavare nel passato ed avventurandosi nei labirinti degli eventi e delle personalità. La grandezza di Camilleri sta anche nell’aver costruito uno suite di personaggi comprimari e secondari che funzionano come una fisarmonica, che sa spingere ed aspirare per dare fiato e marcare gli elementi importanti ed utili alla risoluzione dell’enigma delittuoso.

Il commissario Montalbano televisivo è forse una delle trasposizioni meglio riuscite che si possano vedere in televisione ed è arrivato oramai alla sua diciottesima stagione. Certamente parliamo di un formato filmico, di circa novanta minuti, diverso da quello dell’episodio classico di una serie, ma oramai nel mondo della fiction televisiva si sa che le regole sono belle ed importanti perché elastiche e possibili da infrangere. “Salvo Amato, Livia mia” è il primo film andato in onda dopo la morte di Andrea Camilleri. Purtroppo però la produzione ha visto la perdita non solo sua, ma anche dello storico regista, Alberto Sironi che era riuscito a dare un’impronta abbastanza precisa alla serie. In questo frangente è stato lo stesso Zingaretti, il volto storico del commissario di Vigata, a prendere le redini della situazione, ricordando il fatto che lui non è stato un semplice attore, ma negli anni è diventato quasi uno showrunner della serie, figura fondamentale sulla quale mi sono trovato a parlare a Napoli con gli scrittori Giancarlo De Cataldo e Maurizio De Giovanni in un incontro pubblico.

Un bellissimo coro di personaggi intorno

catarella fazio augello


In tutto questo non è mai in secondo piano il ruolo dell’amata Livia, personaggio quasi fantasmatico, per la velocità in cui appare e scompare nella quotidianità del protagonista, interpretato da Sonia Bergamasco, attrice dotata di bellezza e bravura. Un amore dolce come una coperta di Linus e che sa essere quella piccola luce che illumina i momenti bui del nostro protagonista. Stavolta i ritmi della cittadina siciliana sono sconvolti dal ritrovamento del corpo di una giovane archivista locale, una ragazza schiva dal cuore d’oro, adorata dai genitori e legata ai bambini immigrati, che aiuta con un’associazione di volontariato. Agata, questo il suo nome, è però anche vicina proprio a Salvo Montalbano, essendo la figlia della parrucchiera locale di Livia, ma negli ultimi tempi per lei anche un’amica e una confidente. Un delitto violento, una morte per dissanguamento particolarmente truce per gli standard di Camilleri. Non mancano il buon cibo e le pause caffé, i sottoposti per le pause più divertenti e gli splendidi paesaggi siciliani, eppure si tratta di un delitto particolarmente efferato ed il nostro commissario subisce da vicino la visita della malvagità umana anche nei vicoli storici di Vigata. La presenza di Livia è il balsamo a lui necessario. È un episodio che sfiora le due ore, tratto dai racconti di Camilleri “Salvo amato… Livia mia” e “Il vecchio ladro”, e conferma come la passione sia un elemento spesso centrale nelle avventure di Montalbano, fino a diventare movente, oltre che uno dei vizi capitali se si tramuta in lussuria e, appena qualcosa va storto, in violenza omicida. Naturalmente non è mai sciocco moralismo come nello stile di certa politica d’accatto, ma riflessione sul rispetto per le persone e per i sentimenti.

Vigata, Terra amata e sognata

Camilleri

Tutto sembra semplice, ma raramente le apparenze vengono confermate dalle indagini nelle masserie e nelle ville degli scenari della trinacria. Indagini che ci presentano più vicende, apparentemente slegate, prima di ritrovarsi in un terreno più prossimo del previsto durante lo svelamento finale. Nessuno vive una vita sola, sono tanti i piccoli segreti, innocenti o meno, che custodiamo dentro di noi. Così Vigata si conferma un luogo dell’anima per gli appassionati, in cui ogni tanto esplodono le pulsioni più oscure della natura umana, prima di ristabilire la pace e la quiete. In questo Montalbano non è diverso da Maigret, per ritornare a Simenon, o da altri protagonisti del giallo classico, un riflessivo e accomodante indagatore suo malgrado dell’essere umano, che starebbe tanto volentieri in pausa a farsi un bel caffè o un arancino, come Nero Wolfe sognava tutto il giorno i minuti trascorsi con le sue orchidee. Zingaretti se la cava egregiamente dietro la macchina da presa, mantenendo uno stile di ripresa fluido e senza voli pindarici, come era caratteristica delle regie di Sironi.

Montalbano e gli altri in tv

Simenon

Andrea Camilleri non è il solo ad aver avuto delle riuscite trasposizioni televisive dei suoi personaggi. Il commissario Maigret, la creatura venuta fuori dalla penna del genio dell’infaticabile Georges Simenon – pensate che fra romanzi e racconti si contano oltre 400 scritti dell’autore francese – ha avuto due splendide trasposizioni. La prima addirittura italiana realizzata dalla Rai a cavallo fra il decennio sessanta e settanta, interpretato egregiamente da Gino Cervi, quando ancora esisteva lo “sceneggiato”, girato totalmente in interni. Molto bella una versione francese degli anni novanta interpretata da Bruno Cremer che ammise di essersi ispirato all’italiano Cervi. Naturalmente indimenticabile resta l’interpretazione cinematografica che ne fece Jean Gabin. Sempre italiana e del periodo degli sceneggiati, anche se più sperimentale, fu la versione del Nero Wolfe, creatura di Rex Stout, anche qui interpretato da un grande attore come Tino Buazzelli.