Foglietto 24 Marzo
“La cultura è l’unico bene dell’umanità che, diviso fra tutti, anziché diminuire diventa più grande.”
In questa frase del filosofo tedesco Hans Georg Gadamer trovo una grande verità. Come la trovo in quella dello scrittore austriaco Karl Kraus:
“Quando il sole della cultura è basso, i nani hanno l’aspetto di giganti.”
Oggi viviamo in un momento in cui le formiche appaiono giganteschi mostri atterrati da astronavi aliene e non è colpa della pandemia da Covid 19 e da chissà quale altro virus. A mio avviso stiamo vivendo un periodo segnato dalla cultura dell’anoressia e dall’anoressia della cultura. Può apparire un gioco di parole e forse all’inizio lo ero ma le morti di Lucia Bosè e di Alberto Arbasino me ne danno conferma.
Sono morti a poche ore di distanza. Ascoltando distrattamente alcune trasmissioni, non quelle di informazione, ma volutamente quelle di intrattenimento pomeridiano, mi sono reso conto che ne parlavano solamente perché è stata Miss Italia e madre dell’attore e cantante Miguel Bosè. Lo sospettavo.
Bellezza, Cultura e Anoressia
Chiariamo subito una cosa: non ho nulla contro Miguel che ascoltavo da bambino e che ho amato molto in alcuni film di Almodovar. La bellezza di Lucia Bosè, austera e piena, è innegabile, forte che le bastava solamente essere entrare in una sostanza per essere notata. Come la notò il grande Luchino Visconti quando entrò da Gali, nota pasticceria milanese, dove lei lavorava come commessa. Fu Miss Italia nel 1947, gli anni della ricostruzione, del nostro neorealismo, dove la bellezza era quella delle cosiddette “maggiorate” e non di alcune figure anoressiche che molte riviste inizieranno a proporre qualche decennio dopo, come se la carne sia un peccato.
Lucia Bosé è stata una splendida attrice, ha lavorato in film importanti come Riso Amaro, Non c’è pace fra gli Ulivi, Cronaca di un Amore, Le ragazze di Piazza di Spagna e molti altri anche dopo.
Anche dopo essere stato la compagna di Walter Chiari e poi aver sposato il torero Domenguin nutrendo così il gossip dell’epoca. De Santis, Emmer, Visconti, Fellini e altri sono il suo carnet di attrice e non quella di una ragazza al ballo delle debuttanti. Poi è stata una donna libera. Libera dai vincoli di un modo di pensare stereotipato che vuole sia la cultura dell’anoressia e soprattutto l’anoressia della cultura. Una volta in un’intervista la sentii citare una frase di Pasolini – che lei conobbe, perché ospitò un splendido salotto letterario in cui Hemingway e altri erano di casa – che recita:
“Puoi leggere, leggere, leggere, che è la cosa più bella che si possa fare in gioventù: e piano piano ti sentirai arricchire dentro, sentirai formarsi dentro di te quell’esperienza speciale che è la cultura.”
Una splendida signora dai capelli blu piena di coraggio che ci mancherà tantissimo.
Insulti Celebri
“Ne “Il sabato del villaggio” Leopardi diceva che la domenica porta tristezza e noia. Bravo lui: vada a dirlo a un metalmeccanico.”
“Se nel rock bisogna drogarsi tanto per arrivare a canzoni come quelle di Jimi Hendrix e Janis Joplin, Wagner e Brahms che cosa avrebbero dovuto farSe nel rock bisogna drogarsi tanto per arrivare a canzoni come quelle di Jimi Hendrix e Janis Joplin, Wagner e Brahms che cosa avrebbero dovuto fare? Mettersi un dito nel didietro? e? Mettersi un dito nel didietro?”
Questi due aforismi famosi inclusi nella raccolta Insulti Celebri di Alberto Arbasino e già qui dovreste farvi un’idea di che personaggio straordinario era. Un uomo che se sentiva parlare di politically correct doveva correre in bagno!
Romanziere sofisticato e sperimentale, con trame estremamente rarefatte, lunghe digressioni metaletterarie e letterarie in molte lingue, giornalista di costume, critico teatrale e musicale, intellettuale. Fece parte del celebre Gruppo 63 una neo-avanguardia da cui passarono anche Umberto Eco, Angelo Gugliemi, Achille Bonito Oliva, Giorgio Celli e altri protagonisti della vita culturale italian senz’altro poco “addomesticabili”. Non nel senso che vanno in tv e gridano ed insultano come spesso fanno alcuni che non distinguono cultura da coltura, ma perché avevano il vizio di voler affrontare le cose nella loro difficoltà e globalità, cercando di analizzare e capirle.
Forse è vero come diceva la splendida Hannah Arendt che “La società di massa non vuole cultura, ma svago”, forse si, ma è me sembra che oggi si richiede svago di pessima qualità e non si può sempre dar colpa al virus se ci piace vedere il complotto anche in quelli che parcheggino in doppia fila, oppure se secondo noi ne sa più il figlio della cugina del farmacista piuttosto che qualche dipartimenti di virologia di importanti università!
Arbasino era un uomo che pungeva le classiche espressioni italiche “E’ tutto un magna-magna”, “Dai retta a me”, “E’ tutta una pastetta”, “Aumm-Aumm”, messaggi confusi che neanche i radiotelescopi più imponenti puntati verso il cielo a percepire e registrare gli echi delle radiazioni stellari riuscirebbero a capire!
A chi invoca la leggerezza come disimpegno ed idiozia ricordo una bellissima sua frase su Calvino: “Leggerezza calviniana. Un pesante equivoco del nostro tempo. Italo Calvino non era affatto leggero. Era molto serio, laborioso, parsimonioso, industrioso, assorto, concentrato, moderato, indaffarato, calcolatore, misuratore, come tutti i migliori liguri.“
Un uomo che mi sembra interpretare bene quell’aforisma di Camus che dice: “Cultura: l’urlo degli uomini in faccia al loro destino.”
Fratelli d’Italia
Chiudo con l’explcit del suo libro più famoso ed importante, proprio Fratelli d’italia, quelli dell’inno incarnato flashmob:
“Quando eravamo sentimentali e soft, di fronte alle grandi masse inconsce e amorfe si diceva volentieri: un gregge di pecorelle eterodirette. La nostra speranza. I giovani. E mo?”
Buongiorno a Tutti e Scusate il disturbo