Finisce finalmente un’orribile campagna elettorale per merito di tutti, nessun escluso, segno più che evidente che oramai siamo su pezzi di un relitto che una volta si chiamava democrazia occidentale e che oramai non naviga più. Ci siamo ritrovati in un brodo di citazioni del passato, senza risposte, con claim gettati come fossero simulacri senza riferimento, siamo nel ritornello, senza ricordare la canzone. Mi soffermo su un hashtag che è andato molto forte in questo periodo: #onoioloro. E’ dei cinquestelle. Non mi sono simpatici, mai nascosto, del resto neanche per gli altri ho simpatie, solo che qui non ci si accorge che siamo su un piano pericolo: la creazione del nemico.
Chi sarebbero i noi? Chi sarebbero i loro? Ci sono due schieramenti divisi? E da cosa? Non m’interessa il loro programma elettorale, anche perché è già stato dimostrato che è inutile, non sarà il parlamento europeo a farci uscire dall’euro, né a rivedere il fiscal compact, non ha poteri in merito. M’interessa sapere se io sono “noi” o sono “loro” e su che basa, perché io non mi sento né l’uno né l’altro. La verità è che mi sento altro, come le singole persone. Questa corsa ad un’identità da truppa, da gruppo forte, mi fa pensare che davvero non si è imparato molto dai fatti della storia, proprio oggi che sono 22 anni dalla strage di Capaci.
Le pagine meno gloriose del nostro passato sarebbero le più istruttive se solo accettassimo di leggerle per intero, scrive Todorov, filosofo bulgaro, e noi, come cittadini, come popolo, come italiani, non l’abbiamo fatto. Né lo facciamo. Non c’interessa il confronto, o meglio non a tutti, meglio il capro espiatorio. Più facile, più diretto, si vinca o si perda, almeno sappiamo tutti chi è il nemico, chi è quello che ci ha resi più poveri, ma soprattutto molto più miseri.
Si rispolverano slogan sulla tecnologia, come arma di liberazione, come grimaldello di una rivoluzione che non c’è stata – sarebbe bello indagare sui perché – ma sempre Todorov scrive: Il progresso tecnologico non comporta una superiorità sul piano dei valori morali e sociali (né una condizione di inferiorità). Eppure la trasparenza si può ottenere senza tecnologia. Però abbiamo bisogno di un culto, di una religio, di qualsiasi cosa che ci unisca, anche se poi non la sentiamo del tutto nostra. Abbiamo bisogno di un’identità di gruppo perché non riconosciamo più ciò che siamo, questo non solo nel nostro paese, ma in tutto l’Occidente. Su questa morte del pensiero come l’abbiamo conosciuto e studiato, stiamo scegliendo le soluzioni più facili e più deleterie, anzi le non-soluzioni.
Capisco che sia necessario un viaggio lungo e insidioso, ma preferisco provarci e partire da una citazione di Focault: Forse oggi l’obiettivo principale non è di scoprire che cosa siamo, ma piuttosto di rifiutare quello che siamo. Dobbiamo immaginare e costruire ciò che potremmo diventare.
Siamo diventati zombie, adesso rendiamoci conto e proviamo a immaginarci altro.