Narcos: la ballata triste di Pablo

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%image_alt%Netflix ha voluto scrivere la parola fine a Narcos? Non ne sono sicuro, ma sicuramente ha chiuso la sua esegesi della caccia al narcotrafficante più famoso del mondo, nonché il criminale più ricco della storia – almeno per quanto ne sappiamo. Pablo Escobar aveva un patrimonio stimato intorno ai 30 miliardi di dollari ed è morto nel 1993, una cifra colossale. La seconda stagione si apre con l’assedio alla sua prigione personale, La Cathedral, dove alla fine riesce a sfuggire a una caccia all’uomo che coinvolse 4000 agenti delle forze colombiane più la DEA (Drug Enforcement Administration), l’agenzia antidroga degli USA. Wagner Moura stavolta è ancora più bravo che nella prima stagione, come lo è Chris Brancato, capo degli sceneggiatori. Se stavolta a Wagner Maura non viene dato non dico l’Emmy, ma almeno la nomination per la migliore interpretazione, sappiamo che è tutto un trucco.

Questa stagione è superiore alla prima. Mentre nella prima la cronaca dell’ascesa all’impero della cocaina colombiana seguiva un ritmo più regolare e classico, stavolta si va dentro il lato oscuro di Pablo, re dei narcos, arrivando a citare Marquez e il suo realismo magico, che proprio in Colombia è nato.

C’è un cast che merita di essere premiato, non solo Moura, ma anche i due agenti della DEA, il biondo Murphy (Boyd Holbrook) e il moro Pena (Pedro Pascal). Non si può dimenticare la brava e bella Tata, la moglie di Pablo, (Paulina Gaitan), gli altri Narcos, sia i minori come La Quica, Blackie e Limon, più i fratelli del cartello di Cali.

La storia scava nel passato di Pablo, addirittura mostrandoci il rapporto col padre, quando Pablo, oramai solo e braccato, si rifugia nella vecchia e angusta fattoria del suo genitore, un umile contadino, insieme a Limon, l’ultimo superstite rimasto fedele. Certo la Colombia ne esce male, non solo da una guerra civile fra narcos e governo, ma anche perché si era creata una fazione paramilitare di neofascisti sanguinari, appoggiati dai nemici di Pablo. La storia non produce schieramenti di eroi senza macchia e di volgari criminali, qui alla fine sono tutti villain. O quasi. Gli eroi positivi nascono in opposizione, come il presidente Gaviria, che però vuole assolutamente morto Escobar e alla fine tollera la fazione paramilitare. I due agenti della DEA si dividono il titolo di buoni, ma Murphy ha una vita privata distrutta, anche se dalla sua ha la capacità di non accettare la violenza come fine a se stessa, mentre Pena arriva al punto di sostenere la fazione di Montecasino, con paramilitari e cartello di Cali inclusi. Proprio questi altri nemici potrebbero essere i protagonisti di una difficile ma possibile terza stagione. Infatti Pena viene mandato a Washington quando vengono a galla i suoi legami coi criminali, però non si trova di fronte ad una commissione disciplinare, bensì ad un comitato operativo che gli parla del cartello di Cali. Non sappiamo ancora se ci sarà, certo perderebbe appeal senza un personaggio come Escobar.

L’ultima puntata ha delle sequenze molto belle, come quella in cui il sanguinario Pablo esce e si ritrova su una panchina a parlare col fantasma del cugino Gustavo, il suo consigliere più prezioso, più fidato, tanto da dire che le cose sono iniziate ad andar male proprio dalla sua morte. Prima di questa c’è il sogno di Pablo, dove lui stesso si immagina proclamato presidente della Colombia, applaudito da tutti, politici e militari compresi e si trova a dividere una sigaretta di marjuana con il vero presidente, Gaviria, che poi esce dalla stanza. I fantasmi e i sogni di Pablo prendono corpo, proprio mentre oramai è ridotto alla fine, certo con soldi sparsi in tanti nascondigli, ma anche Miami è persa in favore del cartello rivale.Oltre il sanguinario ci sono anche gli aspetti del marito, del figlio e del padre di famiglia, stavolta il mosaico del personaggio è più ricco e composito rispetto alla prima stagione, il che giustifica come in alcuni momenti si tenda a parteggiare per lui, nonostante si parli di uno dei peggiori criminali della storia umana.

Della Colombia non resta molto. In fondo non è interessante per questa serie, poteva essere ambientata in qualsiasi parte del continente latino-americano o in una parte del mondo che rispettasse certi criteri della narrativa convenzionale, questa è una serie basata sulle vicende di alcuni personaggi, quindi non c’è spazio per un approfondimento dei luoghi se non come contorno. C’è una cura delle atmosfere che rispecchiano lo stato delle fortune di Pablo, dalle residenze stile Quarto Potere con animali esotici, fino alla morte sui tetti di Medellin, quindi sono contorno narrativo, ma mai protagonisti.

Per chiudere: il giudizio è senza dubbio positivo e quello che mi auguro e comunque di rivedere questi attori all’opera, Moura e Pascal per primi.