L’aspettavo. La messa in onda della seconda stagione di Gomorra era attesa, soprattutto perché i primi due episodi mandati da Sky Atlantic coincidevano con un’altra messa in onda, quella del film tv, ad opera di Raiuno, su Felicia Impastato, madre di Peppino, un grande combattente della mafia e da essa ucciso. Ho letto titoli roboanti sui giornali del tipo “Vince la tv verità“. Non è vero, anche perché ci sono molte differenze fra i due prodotti, differenze profonde. Volevo chiamare questo post in maniera diversa: Rispetto per la mafia e per gli spettatori. Alla fine ho optato per il nome dei due prodotti.
Partiamo da Gomorra. Oramai la separazione dall’omonimo libro di Roberto Saviano è sancita, anche se lo scrittore napoletano resta consulente, siamo nel prodotto di finzione, che non è insulto, come pensano alcuni, perché il richiamo alla realtà della camorra è vivida e presente. Il primo episodio è il vero finale della prima stagione, con il ritorno alla ribalta di Ciro l’Immortale e della sua alleanza con Conte, insieme con altri, come una cooperativa, per riprendersi tutt’e cose. Sono tutti pronti a mettere i soldi sul tavolo per conquistare le piazze si spaccio che prima erano dei Savastano, la famiglia di Genni. Non siamo ai livelli della banda della magliana – stecca para pe’ tutti – di Romanzo Criminale, ma siamo in epoche storiche diverse e geografie diverse. Poi c’è la questione del privato, perché in questa doppia puntata il tema centrale sono i rapporti familiari ad essere in primo piano, non le famiglie come unità o componenti criminali, ma proprio i legami marito-moglie, padre-figlio. Altra coincidenza visto come anche la legge sta cambiando visto l’approvazione del ddl Cirinnà in materia di unioni civili.
C’è chi si è indignato per l’omicidio da parte di Ciro di sua moglie Deborah sulla spiaggia. Chi conosce almeno in maniera leggermente approfondita le organizzazioni criminali nel nostro paese sa che l’aggettivo più giusto per quell’omicidio è “necessario“. Non c’è gusto negli occhi di Marco D’Amore, quando stringe le mani al collo della moglie Deborah, anzi vedremo anche le sue lacrime dopo, quando la perdita è già avvenuta. Tutti sembrano scordarsi la scena prima: Deborah sfugge alla sorveglianza del marito e dei suoi uomini, prende un autobus e poi si ritrovo di fronte alla polizia. La camera la lascia lì e Ciro saprà il fatto da un suo uomo durante un meeting con altri del gruppo sullo spaccio della droga. Non sappiamo se Deborah abbia parlato, non credo ma è una mia idea, ma a quel punto il sospetto c’è e il pericolo anche. Non devono esserci voce, non deve esserci sospetto, nessuna deve intralciare i piani del crimine. Se non l’avesse fatto il marito un altro della banda poteva farlo ottenendo conseguenze più pesanti: far cadere il prestigio e l’autorità dell’Immortale, mettere in pericolo lui e anche la figlia oltre a farlo cadere dalla cima a cui è arrivato. Quando si parla di camorra, di mafie, non si può pensare a come si comporterebbe una persona comunale. Altro codice, altra morale, altri comportamenti. Una buona prima puntata che chiude l’arco narrativo della prima stagione.
Seconda puntata, qui inizia la seconda stagione e non siamo a Napoli ma in Honduras. Un anno dopo, una pausa di tempo necessaria per far decantare alcune cose e farne crescere altre. Genni è tornato dove era stato spedito durante la prima stagione. Lo troviamo amico della banda dei locali, ancora con la sua cresta, con la faccia più cattiva e con l’aria più pronta. L’impressione è di crescita. La scena in cui lui va da un capitano dell’esercito honduregno e lo convince ad uccidere un altro militare è emblematica. Adesso controlla le persone, le manipola e poi riprende il tutto con lo smartphone lasciando tornare il capitano al suo gruppo, può ricattarlo come vuole e sa che ha un nuovo alleato in quell’esercito.
La scena cambia. Genni dopo una breve tappa a Fiumicino si ritrova in una città del nord Europa e finalmente si trova di fronte a suo padre che avevamo lasciato in fuga da un trasporto da un carcere all’altro. Pietro Savastano è un uomo potente in esilio e sembra capire i suoi limiti, visto che i suoi affari stanno andando male e si rivolge alla gente sbagliata. Anche Genni lo avverte, visto che i suoi “compagni calabresi”, il riferimento è alla ‘ndragheta calabrese, hanno emesso una condanna a morte sul suo fornitore di armi. Proprio qui arriva un commando ‘ndranghetista che entra in un locale e fa fuori tutti. Il riferimento è Duisburg, quando l’Europa si accorse che la ‘ndrangheta non era solo “una massa di pecorari”, come ho sentito dire anche io, ma una delle organizzazioni criminali più potenti e pericolose dell’emisfero occidentale. E’ Genni a tirare fuori il padre malato, per lui trova una macchina, dopo averne ammazzato l’autista e si rifugia in un magazzino dove si prende cura del padre fino al mattino. Arrivati al mattino il padre molla il figlio, gli dice che lui deve affrontare i nemici da solo, praticamente prepara la sua riscossa non capendo che il figlio potrebbe essere la sua arma migliore. O forse temendolo. Pietro sa che Genni prenderà il suo posto, anche la sera prima lo ha criticato aspramente. Un padre tradisce suo figlio, salta tutta la retorica sulla famiglia italiana, sulla famiglia italiana criminale come è sempre stata vista, e anche quella del parricidio. In questa sua azione c’è quasi l’autorizzazione al parricidio, ora Genni deve eliminare suo padre.
Potrebbe essere questo l’innesco per una possibile alleanza fra i due ex-amici, ora rivali? E’ possibile a mio avviso, ma potremmo vederlo verso la fine di questa stagione. Magari saranno proprio loro a prendersi tutto. Chissà. Poi resta da vedere cosa sta succedendo a Napoli.
A Felicia Impastato è stato fatto un torto. Felicia Impastato, questo è il titolo del film tv a lei dedicato è raffazzonata, didascalica e soprattutto consolatoria. Non so cos’altro si possa dire di una cosa fatta senza impegno, sulla scia dell’antimafia Rai, come era stato per il film tv su Lea Garofalo. C’è un cast sbagliato, non tanto per Lunetta Savino, ma sicuramente Lucia Sardo, stesso ruolo ne I 100 passi, il bel film di Giordana sull’omicidio Impastato, era più convincente. Il finale con la madre che indica il visto inchinato di Tano Badalamenti, il famigerato Zu Tanu o Tano Seduto, non regge, come se alla fine l’amore materno vincesse sulla mafia. Siamo di fronte a un brutto dispositivo retorico. Ecco perché si dovrebbe avere più rispetto per le mafie, nel senso di studio e preparazione, altrimenti aspettiamoci Don Matteo contro Totò Riina, e per gli spettatori, che non possono essere ancora trattati come dei bambinetti con le favolette. La fiction, uso questo termine ma non mi è mai piaciuto, deve essere seria e non seriosa. Le vicende del crimine in Italia sono ancora un tema caldo e devono essere trattate in maniera diversa, viste che ci coinvolgono tutti.