Ieri sera Sky ha mandato in onda i primi due episodi della prima stagione di Les Revenants (I Ritornati), prodotto alla fine del 2012 e creato da Fabrice Gobert. Siamo alla prima serie francese che mostra molti segni di contemporaneità per il mondo della lunga serialità. Potrei citare un buon prodotto come Profiling, ma è troppo verticale per inserirsi in questa categoria. In un paese della Francia, è stato girato vicino ad Annecy, vediamo un pullman che precipita nel bacino di una diga e poi, anni dopo, i morti ritornano. Non sono solo loro a tornare. Ma preferisco farvelo vedere. Come sempre.
Già da questa sequenza si percepisce che siamo di fronte ad un prodotto ben fatto, bella questa fotografia, con dei colori che sottolineano l’atmosfera cupa. Impressionante la musica, ma è una creazione originale dei Mogwai, straordinario gruppo post-rock scozzese. L’impronta si sente anche per le sensazioni che dà e come si armonizza con il resto.
Il tema dei ritornati è molto forte nelle serie degli ultimi anni, ma va detto che Les Revenants è un oggetto diverso. Proviamo a vedere cosa non è prima di dire quello che è, lavoriamo in negativo.
Non è The Walking Dead, o per citare un film francese La Horde (2009), horror sociale girato a Parigi. Non ci sono zombie con brandelli di carne che penzolano e sangue rappreso ovunque. Non è un horror. Non è neanche In the flesh la serie inglese sui morti viventi, nonostante condivida con loro un momento preciso della “rinascita”, almeno così pare, ma lì siamo su temi diversi.
Non è Resurrection, potrebbe ricordarlo, ma la serie francese è prima. Sono anche tratti da due libri diversi, gli americani sono basati su The Returned di Jason Mott, mentre i francesi sono ispirati da Quelli che ritornano di Robin Campillo. Non so neanche se si possa parlare di zombie, come molti hanno detto.
Non è The Leftovers. Assolutamente no. Ho letto molti tweet che parlavano di un Leftovers al contrario, ma non è così. Nella serie scritta di Lindelof non ci sono corpi, sono assenti, non è un lavoro al contrario, nonostante entrambi condividano un interesse sul passato e sull’affrontate il presente. Ma sia la serie che il buon libro di Tom Perrotta hanno una prospettiva concentrata sul senso di colpa e il rimosso.
A me ha ricordato certi meccanismi del signor Hitchcock nel provocare paura, una sensazione legato al “fuori campo” del cinema, quel rimandare la curiosità e il brivido a quello che succede oltre lo schermo, nella scena successiva, compresa una gestione dei cliff molto buona. E non è facile.
Mi ha ricordato anche due film. Il primo è Il dolce domani di Atom Egoyan, forse per la vicenda del pullman, oltre ad un sentore sul rimosso della scomparsa dei cari da parte della collettività. Altre cose, come la diga, l’acqua e quello che ne verrà fuori, mi hanno fatto pensare a In Dreams, film di Neil Jordan con Robert Downey Jr e Annette Benning. Non vi dico di più, tranne che Robert Downey Jr finì di girarlo prima di essere mandato in comunità per abuso di droghe al posto della prigione.
Allora che cos’è Les Revenants?
Non resta che vederlo per capire meglio come stanno le cose.