TRUE DETECTIVE: THE NIGHT COUNTRY

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Lo aspettavamo. Tanto. Ed avevamo anche un po’ di paura. True Detective: Night Country, che dal 15 gennaio sarà trasmesso su Sky e NOW in contemporanea con la messa in onda statunitense però, non è come la prima stagione di True Detective. Ci togliamo subito questo dente almeno evitiamo paragoni arditi. Ma una delle cose migliori è che Night Country è davvero True Detective, in tutto e per tutto. Solo in maniera diversa. Lo è nella dichiarazione di intenti del sottotitolo (mai usato nelle stagioni antologiche della serie HBO); lo è nel cambio di showrunner, da Nic Pizzolatto a Issa Lopez, che ha curato ogni aspetto di questa quarta stagione, dalla sceneggiatura alla regia, facendola diventare una sua creatura ma guardando nell’abisso della prima e soprattutto lasciandosi scrutare da quello che Pizzolatto aveva scritto precedentemente.

Issa Lopez è entrata nel gorgo in silenzio uscendone in un discorso cinematografico che sfrutta appieno la serialità e il prodotto di partenza, imparandone gli stilemi e soddisfacendo sia i fan della prima ora che hanno rivisto le indagini di Rust e Marty fino alla nausea sia chi entra solo adesso nel mondo di True Detective. Pensate ambientare una serie crime investigativa in un posto dove non si possono nemmeno seppellire i cadaveri, dove tutto è talmente cristallizzato da non darti nemmeno il tempo di esprimere un pensiero all’esterno, dove per giorni e giorni è sempre notte. È in Alaska che tutto parte, dopo la scomparsa di otto scienziati in un remotissimo centro di ricerca a fine dicembre, sul calar della lunga notte. E infatti True Detective: Night Country continuamente tematizza l’Alaska e ciò che rappresenta a livello culturale, sociale e geografico per chi ci vive: sia per chi ci è nato sia per chi ci è finito. Natura matrigna quasi leopardiana che attira nel suo vetro notturno gli occhi dei protagonisti della serie, partendo da due formidabili Jodie Foster – splendida conferma – e Kali Reis – splendida sorpresa – che reiterano il binomio investigativo matrice della serie HBO. Un binomio ovviamente roso da eventi passati, un mondo nascosto sotto una superficie fatta di sguardi taglienti e ire improvvise. In questo caso ci sono flashback, non linee temporali, ma la notte porta via anche il concetto stesso di passaggio del tempo, divorando, nel suo gorgo impastato di nero, vite, carriere, menti, rapporti, emozioni. Come se il mondo vero fosse quello notturno, quello del sogno, dove bisogna cercare chi siamo. Bastano pochi tocchi per farci risucchiare da True Detective: Night Country, come una certa birra appoggiata su un tavolino oppure la prima apparizione di una spirale che diventerà tematica all’interno di tutta la serie. E chi conosce a memoria le indagini di Rust e Marty sente quel brivido elettrico lungo la spina dorsale, quello delle grandi occasioni, perché Issa Lopez ha fatto benissimo i suoi compiti. Il suo, anzi, la sua True Detective affonda le mani nel sogno lucido in continuazione, così come faceva Rust quando vedeva stormi di uccelli prendere forme inconsuete. La parte onirica e dichiaratamente ispirata a Lynch in Night Country è il passeggero oscuro che accompagna protagonisti e spettatori lungo le sei densissime puntate della serie, lasciando briciole di indizi sul passato dei personaggi e su chi sono veramente, scatenando brividi improvvisi nei nostri occhi perché sappiamo che ancora una volta tutto è importante, tutto è lì, dobbiamo solo essere bravi a fare le domande giuste.


Una delle qualità migliori di True Detective: Night Country è l’accento che pone sul metodo investigativo. Lo fa partendo dal personaggio di Jodie Foster che a cascata riverbera le sue intuizioni sugli altri, riportando un grande tema caro sempre a David Lynch e al suo Twin Peaks: la risposta è nella domanda. La Liz Danvers di Jodie Foster ripete così il suo mantra: “non stai facendo la domanda giusta”. Bisogna continuare a fallire, bisogna togliersi gli occhiali usandoli come lente di ingrandimento. Solo così l’investigazione può procedere e svelare cosa c’è oltre. La densità di True Detective: Night Country è corposa, riempie le crepe, parte da una sigla perturbante con la voce strusciata di Billie Eilish che ripete il mantra oscuro della quarta stagione: “when we all fall asleep, where do we go?”.

Una serie che sovrappone e avviluppa immagini, suggestioni e terribili realtà, facendo colare il proprio liquido nero in un contesto sociale così specifico come quello di un’Alaska divisa tra inuit e statunitensi, tra chi quel posto lo considera casa e chi lo vuole solo sfruttare. Issa Lopez impasta l’indagine di True Detective: Night Country in una realtà ben definita, nella riscoperta di sé e nella lotta interna di appartenenza a un popolo, a una cultura che viene avvelenata da un capitalistico progresso senza scrupoli. Un sottotesto silenzioso che si nasconde in piena vista fino a esplodere in un racconto dalla dirompente potenza femminile, femminista e culturale, che ci lascia spiazzati e soddisfatti: poche parole, tantissime immagini. Ed è nello scoprire chi siamo veramente, accettandoci, che possiamo farlo con il prossimo, persino in mezzo alla notte della nostra bufera. Forse dobbiamo solo iniziare a farci le domande giuste.