Julian Fellowes è tornato. Il maestro del period-drama, deus ex machina di serie come Belgravia e, soprattutto, di quel capolavoro del genere che è Downtown Abbey, diventato un termine di paragone per le narrazioni del genere, mette in scena la sua suona creatura: The Gilded Age. La produzione è HBO, sinonimo di alta qualità realizzativa ed in Italia viene trasmessa dalla piattaforma Sky. Naturalmente si è subito scatenata la corsa alla visione e ai commenti da parte degli addetti ai lavori ma soprattutto delle moltitudini di fan per il lavoro di Fellowes sparsi su tutti il globo terraqueo ed anche nella sua versione terrapiattista. Era scontata anche la ridda di commenti sui social per The Gilded Age, non solo per i rating, che mediamente sono già alti e ne denotano l’alto apprezzamento, ma per l’inevitabile questione: è più o meno o bello di Downton Abbey? È il nuovo Downtown Abbey? Segnaliamo che sta per uscire il secondo lungometraggio post- serie di Downtown Abbey. È il destino di chi realizza grandi cose. Mi chiedo se ci fossero stati i critici ed i social anche per Omero avrebbero fatto un sondaggio del tipo “Ma è meglio l’Iliade o l’Odissea?” Molto probabilmente sì. Se poi pensiamo alla vasta storia delle letterature e delle arti, forse, più che opere ci sarebbero stati duelli, magari fra Cristopher Marlowe e William Shakespeare, che si sarebbero insultati a colpi di tweet e reel dicendo “Kit puzza!” e “Will Demente!” D’altronde, si sa, la colpa è dei social e non degli uomini che li abitano ed usano.
Le trame e le storie di The Gilded Age ruotano e si dipanano attorno al personaggio di Marian Brook, figlia orfana di un generale nordista, che va a vivere dalle zie a New York. Accompagnata dalla misteriosa Peggy Scott, una donna afroamericana, incontrata alla stazione ferroviaria, che si fa passare per una domestica, la ragazza rimane coinvolta nelle vite della ricca famiglia che vive nella casa di fronte a quella delle zie, composta dal magnate delle ferrovie George Russell, dal figlio Larry, dalla figlia Gladys e dall’ambiziosa moglie Bertha. Oltre tutto questo c’è un mare di personaggi e vicende, grande come quello che vide la navigazione del Mayflower che arrivava nella nuova terra americana, ma che non è brutto svelare. Almeno i social hanno sempre sostenuto il no-spoiler.
“La vita è come un conto in banca: non puoi spendere se prima non hai depositato”. Questa frase viene pronunciata da Bertha Russell, splendidamente interpretata da Carrie Coon – confesso subito di avere un debole per lei – sposata al grande magnate delle ferrovie, padrona di casa di un palazzo strabiliante e scintillante appena costruito per le strade di New York. Mrs Russell è smaniosa perché tutti i soldi che sta accumulando il marito non bastano a comprarle l’ingresso nella società dei ricchi di antica matrice, nel cerchio magico “old money”, pieno di gente che afferma di discendere direttamente dai padri pellegrini arrivati in America a bordo del Mayflower. “Se fosse vero di tutti quelli che lo sostengono, il Mayflower avrebbe dovuto essere un transatlantico” dice ancora la Bertha Russell, rivelandosi ogni minuto che passa uno dei personaggi migliori creati da Fellowes nella sua carriera, soprattutto perché rispecchia alcune caratteristiche tipiche della praticità e della voglia di essere leader dell’immaginario USA. Il suo personaggio è ispirato ad Alva Banderbilt, il marito fu davvero uno dei grandi magnati delle ferrovie che unirono east coast e west coast. Dall’altra parte della strada c’è Agnes van Rhijn, interpretata da Christine Baranski, attrice che chi ama le serie avrà visto sicuramente in The Good Wife e The Good Fight, che ha vinto due emmy award, un tony ed è stato più volte candidata al golden globe. Questo serve a darvi l’idea dell’alta qualità del cast che lavora in questa serie. Agnes è vedova, si tiene in casa la sorella zitella (Cynthia Nixon), un figlio gay – che fa di tutto per combinare un matrimonio che gli “assicuri sostanze” per mantenere il suo stile di vita ed il suo amante – ed improvvisamente deve accogliere anche la nipote orfana Marian, la giovane che si vede partire all’inizio, ragazza certamente perbene e intelligente, ma un po’ liberal e ribelle per la zia. Marian è interpretata da Louisa Jacobson, figlia più giovane di Meryl Streep. Il personaggio della Baranski ha la stessa funzione che aveva Maggie Smith di Downton Abbey, cioè custode del tempo che fu, dell’antimodernista fino al midollo, impegnata in una feroce campagna contro l’invasione di New York da parte dei parvenu che tanto la infastidiscono. Fra i parvenu ci sono famiglie come i Rockfeller, coloro che nell’immaginario collettivo nostro sono i famosi “Men Who Built America”. In tutto questo c’è anche la questione della divisione razziale, come si vedrà seguendo la storia di Peggy Scott, che andrà a ritrovare la sua famiglia a Brooklyn, che non è affatto priva di mezzi di sostentamento, ma che dimostra come il sistema delle classi sociali sia complesso e feroce nella “Land of Opportunity”. Come in Downton Abbey, Fellowes gioca sempre su due piani, raccontando i padroni e i loro servitori, i piani alti e i piani bassi ma soprattutto qui ci guida con humor e cinismo in una storia di tribù e denari, gran gala ed enormi cattiverie, le basi su cui è stato costruito il capitalismo del secolo scorso. Naturalmente gli sforzi sull’ingresso nella società che conta sono stati ampiamente ripagati: oggi gli eredi Vanderbilt sono considerati “old money”, e forse anche loro sono venuti sul Mayflower, mentre gli attuali nouveaux riches sono Bezos, Zuckerberg e altre grandi star del mondo della new economy. “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” si dice ne Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. Il modello sociale quasi sempre trova una via per riproporsi, dandosi giusta qualche spolverata. Intanto il Mayflower diventa sempre di più una flotta piuttosto che una nave.
Downton Abbey
Lo abbiamo citato e non potevamo non parlare di Downton Abbey, il British Period Dramma per eccellenza, coprodotta da Carnival Films e Masterpiece per il network britannico ITV e per la PBS, televisione non-profit statunitense. La serie, ideata e principalmente scritta dall’attore e scrittore Julian Fellowes, è ambientata fra il 1912 e il 1926, durante il regno di re Giorgio V, nella tenuta fittizia di Downton Abbey nello Yorkshire.
La serie fu subito un fenomeno. È diventata successivamente la serie drammatica britannica in costume di maggior successo, nel 2011 è entrata nel Guinness dei primati come show dell’anno più acclamato dalla critica, diventando la prima serie inglese a vincere tale riconoscimento. Nel 2012 la serie è diventata lo show non americano più candidato nella storia degli Emmy e, con la terza stagione, uno dei più diffusi in tutto il mondo.