33 racconti mi fanno pensare a 33 giri, il numero dei microsolchi standard del vinile tornato oggi di gran moda e che io da ragazzino collezionavo con grandissima avidità (credo di averne oltre duecento n.d.r.). Non è un caso che siano proprio 33 i racconti che compongono il primo libro di Marco Ligabue, rocker di Correggio, che adesso ha deciso di dare alle stampe questa sua prima fatica letteraria dal titolo emblematico: “Salutami tuo fratello”. Già, perché prima che iniziate a ridere o a lanciare improperi per l’ennesimo re-fuso di stampa dovete sapere che Marco è il fratello minore di Luciano, l’uomo che ho portato Correggio nell’Olimpo del rock, che è anche lui un rocker con una sua carriera solista, che fa il regista di videoclip, che ha lavorato in tv e gioca anche a pallone. Il libro sta andando molto bene, sono già numerose le ristampe. Ora è diventato un recital teatrale, insieme ad Andrea Barbi, che farà a tappa a Corigliano-Rossano il 10 ed 11 marzo nell’ambito della stagione teatrale comunale organizzata dall’assessore Alessia Alboresi. Lo abbiamo raggiunto per una chiacchierata.
Prima di tutto complimenti per il libro e per il successo che sta avendo. Come è nata l’idea di scriverlo?
Ti ringrazio. Il successo è stata una vera sorpresa, anche perché è la mia prima esperienza a cinquant’anni e proprio non mi immaginavo questa bellissima accoglienza. È nato durante il lockdown, un periodo in cui ci siamo trovati tutti bloccati, non solo in senso fisico, e allora ho iniziato a scrivere. Per me le parole erano sempre state quelle delle canzoni che scrivo e non mi ero mai misurato con la narrativa. Mi sono messo a pensare e a raccogliere a tutte le esperienze della mia vita, e così sono stato preso da varie suggestioni e ricordi, così ho iniziato a lavorarci su. Sono venuti fuori aneddoti, personaggi e storie che si sono mescolate insieme.
Perché hai scelto la forma del racconto e non magari un racconto-biografico in prima persona?
Un’autobiografia mi suonava una cosa troppo da mettersi in cattedra, quasi presidenziale! Io volevo raccontare delle storie, dei frammenti di vita e sono contento del successo perché significa un riscontro verso quello che ho scritto. Volevo proprio misurarmi con un linguaggio che non era il mio, diverso dalla canzone. Quando scrivi un pezzo sai che sta in 3-4 minuti, un racconto ha un andamento diverso, è un’opera di sintesi totalmente diversi.
Restiamo sul linguaggio. Tu oltre che rocker ed autore, sei regista di videoclip, hai condotto in tv un talent con la Hunziker. Tante esperienze diverse.
Si. Mi piace moltissimo sperimentare e giocare con le divere forme di linguaggio. Adesso sto facendo un’altra cosa in una tv emiliana. Mi piace vedere come si veicolano le emozioni attraverso i vari elementi, così le parole, la musica, le immagini ed il contatto col pubblico dal vivo. Ogni cosa ti arricchisce e ti dà qualcosa di diverso su cui lavorare in futuro.
Nel libro racconti anche della tua famiglia. Quanto è stata importante per te e per Luciano?
Fondamentale. Noi l’amore per la musica l’abbiamo del DNA. I miei genitori aprirono il Tropical, la prima sala musicale della zona, dove si ballava il liscio ogni settimana ma era anche una sala concerti dove sono passati i più grandi, Ivan Graziani e Mingardi, Guccini e Claudio Villa, Riccardo Fogli e i Ricchi e Poveri, anche Pavarotti! Tanti e tutti diversi. Inoltre, i miei genitori ci hanno sempre spinto a seguire quello che volevo fare. Noi veniamo da una famiglia umile, in un momento in cui fare il musicista non era considerato un lavoro. Invece loro ci hanno sempre aiutato.
Com’era il rapporto fra te e Luciano? C’è mai stata invidia?
Io e Luciano ci passiamo dieci anni di differenza e all’inizio questa cosa era più evidente. Insomma, io giocavo coi soldatini e mangiavo le merendine e lui andava al bar a guardare le ragazze. Crescendo questa differenza è venuta meno e ci siamo trovati più vicini nella vita. L’invidia non c’è mai stata, perché il grande successo che ha avuto Luciano è stato una cosa bellissima che ha condiviso con tutti noi della famiglia e che ci ha unito invece che dividerci come alcuni magari hanno potuto pensare.
Tu hai vinto il Premio Lunezia, un premio importante, proprio per la capacità di parlare in maniera diretta nelle tue canzoni. Cosa vuol dire per te raccontare nelle tue canzoni?
Per me le parole sono tutte. Io sono uno che ha iniziato a fare musica sul classico canzoniere, con i primi accordi alla chitarra, ma quando penso ad una canzone, penso sempre prima alle parole. Sono anche un grande ascoltatore di musica e la prima cosa che mi arriva sono le parole. Nella canzone c’è un’immediatezza fortissima legata alla trasmissione delle emozioni. Anche quando vado in giro per le scuole mi accorgo che molto spesso i ragazzi restano più colpiti da una canzone piuttosto che da discorsi importanti ed articolati. Non è una questione di giusto o sbagliato, ma dell’empatia che riescono a creare.
Sei testimonial per l’Avis, la Croce Rossa, hai realizzato un progetto con Saviano. Per te l’impegno è una cosa importante. Credi che la musica aiuti costruire un mondo migliore?
È una domanda importante visto il momento che stiamo vivendo e maggiormente ora che sono diventato padre, che è una cosa che davvero ti cambia la vita. Ogni volta che mi hanno chiamato io ho risposto presente. Quello che cerco di fare è raccontare dei temi sociali, delle cose importanti per tutti noi, soprattutto poi in questi momenti guardando le immagini dei profughi in tv dove c’è bisogno di stare uniti e dell’aiuto di tutti.
Luciano ha scritto Una vita da Mediano. Tu giochi terzino nella Nazionale Cantanti. Chi è più forte dei due a pallone?Luciano è quello che di noi due ha i “piedi buoni” come si dice nel calcio, io sono quello che corre meglio e di più ed ho compensato con quello.
Chiudiamo con una battuta. Oltre che “Salutami tuo fratello”, vista la somiglianza, ti hanno mai scambiato per lui?
Si. Mi è capitato. Alcune volte, pensa te, mi hanno anche scambiato per suo figlio.