The English Game: quando il calcio era un gioco per gentiluomini e padroni

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Il calcio: una passione nata per i ricchi

The English Game

In un momento difficile come questo non possiamo uscire per la pandemia, vengono meno dei rituali che scandivano le nostre vite. Alcuni erano legati al calcio. Una volta era il guardare la rassegna dei goal la domenica sera, prima che il campionato diventasse lo spezzatino che è oggi, oppure la colazione del lunedì mattina con tutti che commentavano i risultati con la colonna sonora fatta dal frusciare del quotidiano sportivo appoggiato sul frigo dei gelati, dalla macchina del caffè che faceva espressi e cappuccini e dal tintinnio dei cucchiaini. Poi come in un’orchestra c’erano assoli fatti di “era fuorigioco” oppure “l’ha sdraiato, rigore netto”, con il sottofondo di “ma che dici” che contrastavano con i vari “ladri”. Il calcio accende le passioni di uomini e donne. Osvaldo Soriano, scrittore argentino, nel suo meraviglioso “Pensare con i piedi” – che vi consiglio – scrive: “Il calcio ha le sue ragioni misteriose che la ragione non conosce”. Chi lo sapeva benissimo era un grande narratore del calcio, e del ciclismo, come Gianni Mura, purtroppo scomparso la scorsa settimana dopo una lunga malattia. A lui dedico questa puntata di Percorsi Seriali, a lui che davvero sapevo far amare qualcosa del genere anche se era lontanissimo da te. Eppure il calcio ha infiammato e infiamma popoli interi in ogni angolo del mondo. Lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano ricordava che “Ci sono alcuni paesi e villaggi del Brasile che non hanno una chiesa, ma non ne esiste neanche uno senza un campo di calcio”. Vero che in Sudamerica il calcio è amatissimo, ma non di meno in Europa, o in Asia e nel resto del mondo. Il calcio oramai ha colonizzato il mondo riuscendo in qualcosa in cui nessun’altra ideologia, condottiero o paese ha sempre fallito.

FA CUP: qualcosa di sacro per gli inglesi

Tutto però nasce in Inghilterra verso la fine del diciannovesimo secolo e non era una questione di classi povere o intellettualmente poco interessanti. Il calcio nasce fra i college più esclusivi dell’Inghilterra, come Eton. Questo è l’argomento di The English Game, la miniserie in sei puntate in onda su Netflix che sta avendo un ottimo successo. D’altronde in qualche modo bisogna pur alimentare questa sorta di dipendenza, vediamola come una sorta di metadone se mi passate il termine scherzoso. Va aggiunto che proprio in questo periodo di “clausura forzata” dove i programmi televisivi segnano il passo, anche perchè, informazione a parte, difficilmente realizzabili per le misure sanitarie, sono le serie tv a registrare un incredibile gradimento fra il pubblico che diventa sempre più numeroso.

The English Game ha come tema, la conquista della FA CUP, il trofeo calcistico più antico del mondo, più vecchio del campionato inglese stesso, visto che è del 1871. La formula è quella della nostra Coppa Italia, ma per gli inglesi è qualcosa di realmente sacro!

 

Sindacati e proletari entrano in campo

 

English Game3

Naturalmente questa è solo il motivo che racchiude molto di più intorno a sé, visto che è il mondo dei gentiluomini, padroni, signori ed industriali, che si scontrano con le prime squadre di proletari, che lavorano, meglio sarebbe dire vengono sfruttati, per loro. La cornice storica e geografica è anche quella delle prime grandi lotte salariali, delle rivendicazioni per un trattamento più equo, degli scioperi. Non mancano e non possono mancare storie di amore e sentimenti, soprattutto quando le classi sociali, gli uomini e le donne, si incontrano e si mescolano. Anche i sentimenti sono qualcosa che ha una certa attrattiva per le persone.

 

Un vero signore che sa raccontare il tempo e le storie

 

julian fellowes

Ad orchestrare tutto questo un trio di sceneggiatori guidati da un vero portento a mio avviso, Julian Fellowes, shorunner di Downtown Abbey, una delle serie più amate e più di successo degli ultimi dieci anni, tanto da aver dato origini ad uno spin-off cinematografico di successo, premio Oscar nel 2001 per la sceneggiatura di Gosford Park diretto dal maestro Robert Altman ed ora alle prese con una nuova incredibile avventura che speriamo arriverà in Italia ma che noi ci stiamo già gustando: Belgravia. Si tratta di una serie che è l’adattamento di un romanzo dello stesso Fellowes ambientato nella società inglese all’indomani della sconfitta di Napoleone a Waterloo. Adesso però torniamo al campo da gioco principale, come si dice in gergo fra telecronisti.

 

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Siamo nel 1878 e campioni in carica dell’FA Cup sono gli Old Etonians, team di ricchi londinesi, capitanati da Arthur Kinnaird (Edward Holcroft), aitante gentiluomo tutto d’un pezzo capace però di trasformarsi quando si tratta di scendere sul terreno di gioco e inseguire un pallone .Fino a quel momento nessuna squadra proletaria era mai arrivata ai quarti di finale della gloriosa competizione britannica: toccherà ad una compagine del Lancashire, il Darwen FC, squadra formata da operai locali, stabilire questo nuovo primato. Il padrone della fabbrica e presidente del team ingaggia per la prima volta due giocatori scozzesi, Fergus Suter (Kevin Guthrie) e Jimmy Love (James Harkness), portandoli via dal Partick di Glasgow e pagandoli per giocare (di fatto contravvenendo alle regole che fino ad allora prevedevano il gioco del calcio solamente in chiave dilettantistica). Contro ogni previsione, e dopo aver concluso il primo tempo in svantaggio per 5-1, Suter prende il Darwen per mano e con alcuni accorgimenti tattici (altra incredibile novità, per l’epoca) riesce a portare il risultato finale sul 5-5. Gli Old Etonians – appellandosi al fatto che da regolamento i tempi supplementari non erano previsti – invitano i rivali a ripresentarsi a Londra per il sabato successivo, per il replay del match. Naturalmente questo è solo l’antipasto. Buona Visione e forza Roma.

Anime, vintage e retrò

 

Carver High School

Lo sport è un tema narrativo molto forte e non potrebbe non esserlo. Vi si ritrovano storie di riscatto, la forza del gruppo e anche quella dell’autorealizzazione personale. Il cinema ne è pieno e anche il mondo seriale non ne è da meno, specialmente quello made in Usa. Anche gli anime giapponesi ne sono pieni, basti pensare a Jenny la Tennista oppure ad Holly&Benji, che oggi ha avuto addirittura un remake chiamato Capitan Tsubasa. In carne ed ossa alla fine degli anni ’80 in Italia arrivò The white shadow: serie tv ancora più vintage, prodotta dal 1978 al 1981, parla di un ghetto di Los Angeles e della sua squadra di basket. Un ex giocatore dell’NBA bianco di nome Ken Reeves, che a causa di un infortunio ha dovuto terminare la splendida carriera in anticipo, accetta di allenare la squadra della Carver High school, composta principalmente da ragazzi di colore e ispanici. Riscosse tanto successo all’epoca tanto da far ottenere un Emmy Award nel 1979 al regista Jackie Cooper.