Il cast funziona, poi c’è Peter Mullan
Netflix non va in vacanza, anzi ha rilasciato proprio a fine luglio Ozark, un noir in alcune sue componenti sorprendenti, che a volte perde il ritmo, comunque si lascia guardare bene. Definita la nuova Breaking Bad, ma dobbiamo andarci cauti. Vogliamo subito rassicurare i fan di Walter White e Jesse Pinkman, non siamo sui livelli della creatura di Vince Gillighan, anche se l’ambizione di creare qualcosa di forte, pervasivo e virale c’è, ora che anche il britannico Broadchurch è terminato. Ci sono degli elementi di contrasto, innanzi tutto il cast, perché Jason Bateman, Marty Byrde nella serie, è un bravo attore di comedy, lo ricordo come protagonista di Arrested Development. Molto brava anche Laura Linney che interpreta Wendy, la moglie di Marty, ha al suo attivo cinema, serie di primo livello, tre nomination all’oscar e due golden globe vinti. E non finisce qui.
La sequenza iniziale ci mostra subito Marty, un consulente finanziario di Chicago, che sta diventando un’altra capitale delle serie tv made in USA, che mentre parla con un cliente guarda una coppia che fa sesso amatoriale in una camera d’albergo. Non è fine a se stessa, verrà rivelata più avanti. Ad Ozark serve tempo. Tutto il setup viene mostrato lentamente, senza correre. Marty oltre a consigliare investimenti insieme al suo socio storico, “ricicla e pulisce” il denaro per il secondo cartello della droga messicano. Il suo contatto è Del, un distinto signore, interpretato da Esai Morales, che è stato anche nel cast di NYPD, uno di quei polizieschi che hanno fatto scuola. Una delle differenze con Breaking Bad è il fattore scatenante, cioè quell’avvenimento da cui partono le vicende. Se per Walter White si tratta della sua malattia, per Marty Byrde si tratta del suo socio che ruba i soldi di Del, per questo motivo Del lo ucciderà, ma crederà alla buona fede di Marty, che gli proporrà di continuare il suo lavoro ed arrivare alla quota enorme di 500 milioni di dollari, ma prima deve restituire i soldi che il socio ha rubato. Naturalmente Del e i suoi hanno fatto fuori il socio di Marty e i sui complici. In questo modo Marty salva se stesso e la sua famiglia, ma deve andare via da Chicago e sceglierà un post nel midwest, un post suggeritogli dal suo socio, ora defunto, che gli aveva detto che si poteva investire: Ozark, Missouri.
Parliamo di un lago, creato nel 1929, che durante l’estate è popolato di turisti, ma poi è un territorio di redneck. Li abbiamo visti in tante serie tv, insieme agli hillbillies, ma i redneck, così chiamati per l’abbronzatura del collo dovuta alle canottiere che indossano sono di solito bianchi, ultra-repubblicani, proprio destra non conservatrice, ma radicale, di quelle che nel mondo stanno avanzando a colpi di violenza e di illegalità. Ci sono due famiglie protagoniste con componenti redneck, una sono i Langmore, da cui vengono fuori un bel personaggio, la giovane Ruth, interpretata dalla giovane e brava Julia Garner, che ha al suo attivo alcuni film fra cui Sin City. C’è un ritratto feroce della provincia americana, soprattutto per la famiglia Snell, dove il capo è Peter Mullan, proprio il grande attore, sceneggiatore e regista scozzese. Se non ve lo ricordaste è stato attore in Trainspotting, Piccoli Omicidi fra amici, My name is Joe, film che gli è valso il premio per la migliore interpretazione a Cannes nel 1998. L’anno prima, sempre a Cannes, aveva esordito come regista con Orphans, vinse il premio per la migliore opera prima. Lui interpreta Jacob Snell, la cui famiglia è nella zona di Ozark da un paio di secoli e ora è dedito al traffico di droga.
Non sono pochi i personaggi di Ozark, anzi ce ne sono parecchi, la trama è interessante, il ritmo a volte non è sempre continuo, ma ci può stare nell’arco di dieci puntate. Eppure a questa serie manca qualcosa. Ho pensato fosse una questione proprio di ritmo, ma in realtà tutti hanno delle pause nelle serie, specie se stiamo parlando di crime o noir. Allora cosa manca ? Il guizzo!
Cosa intendo? Il guizzo non è il turning point, cioè l’elemento di svolta di una storia, non è il ghost, lo spettro ricorrente delle vicende, ma il guizzo è quello per cui tu ricordi una storia e vuoi continuare a vederla!
E’ un problema di scrittura.
Ozark non è scritto male, ma mancano quelle scene da ricordare che riempivano Breaking Bad, come la prima stagione di True Detective. La regia è buona, anche Jason Bateman è diventato regista dando buona prova di sé, tra l’altro è anche uno dei produttori esecutivi.
La coppia di scrittura è Bill Dubuque e Mark Williams, che avevano realizzato una prova più che dignitosa con il recente film The Accountant. Possono fare meglio? Penso di si, anzi lo spero, perché comunque Ozark è un prodotto difficile, ma si lascia vedere, poi certo se lavorassero sul ritmo sarebbe meglio, eppure lo sviluppo dei personaggi c’è e mi piace la strategia di svelarli senza fretta durante le puntate insieme alla trama.
Non è ancora certa la seconda stagione, ma credo che sarebbe un errore chiuderla, anche perché ho letto dei commenti di spettatori americani e anche a loro è piaciuta. Tutto sta nel lavorare sulla scrittura e sulla sua strategia. Spero ce la facciano.