Thirteen non è il film del 2003. Thirteen è una miniserie targata BBC. Siamo a Bristol, città famosa per una lunga tradizionale musicale, dal reggae al trip-hop, dove scompare una ragazza di 13 anni. E 13 anni dopo la vediamo uscire da una casa a due piani con la porta rossa, precipitarsi in strada, chiamare aiuto e finalmente essere recuperata dalla polizia. La ragazza si chiama Ivy Moxam, ora ha 26 anni e finalmente può tornare nella sua famiglia! Sicuri? La storia ricorda quella dell’austriaca Natascha Kampusch, che fu segregata per oltre otto anni dal proprio rapitore, però c’è molto altro.
5 puntate, forse anche poche per raccontare un drama come Thirteen che incrocia anche la vicenda di un altro rapimento, più quella dei familiari di Ivy, dei suoi amici di quando era adolescente, compreso il “fidanzatino” – il termine fa rabbrividire anche me- e la di lui moglie. Eppure le vicende scorrono, anche con i risvolti psicologici, magari da approfondire, e con meno spazio per le vicende poliziesche, che necessitavano una maggiore linearità.
La realizzazione è di BBC 3, ora BBC!!!, dopo che per mancanza di fondi è stata retrocessa a canale online – questo lo diciamo per chi parla della florida situazione delle emittenti straniere.
Certo la prima cosa che colpisce è il tema della serie, un meraviglioso brano dei Dark Dark Dark , folk band di Minneapolis, usato come tema musicale.
C’è una coppia di poliziotti, Lisa ed Elliot, che in tutti i modi cerca di venire a capo di una vicenda spinosa, soprattutto nel rapimento della seconda bambina, che ha solo dieci anni, e viene rapita come merce di scambio dall’uomo che teneva rinchiusa Ivy Moxam. I poliziotti sono una coppia, non potrebbero per i regolamenti, sono cose che si imparano a forse di vedere i generi, però alla fine riescono a mantenere un equilibrio. Quello che è interessante è il percorso della ragazza, di come Ivy tenti di rientrare nel mondo “normale” e faccia il suo percorso dai 13 ai 26 anni.
E noi pubblico, come ci relazioniamo con lei? In maniera contraddittoria, non lo nascondo. Al di là dell’empatia, umana per chi subisce un rapimento e una lunga prigionia, dopo che si conosce il personaggio interpretato dalla brava Jodie Comer (l’attrice ha solo 23 anni), vista anche nel recente miglior dramma inglese Doctor Foster in un ruolo totalmente opposto, è quella di antipatia. Ivy infatti è anche una bugiarda, una manipolatrice, forse involontaria. Quando si riflette e si elabora che quelle bugie sono necessarie perché bisogna nascondere delle cose che ti hanno fatto soffrire e anche cercare di recuperare il terreno perso sul resto della tua famiglia e dei tuoi amici, allora torna l’empatia verso la situazione. Ivy cresce e alla fine si salva da sola, battendo il suo carceriere che vorrebbe realizzare una famiglia con lei, ma alla fine l’unica soluzione che vede il carceriere e morire con il suo oggetto d’amore. L’happy end finale è su tutte le storie, ma arrivarci non è semplice per nessuno dei personaggi. La ricomposizione non è quello dello status quo iniziale della prima puntata e neanche quella pre-rapimento, ma qualcosa di nuovo che lascia anche un po’ di amaro in bocca per certi versi, ma d’altronde l’evento è traumatico.
Anche questa miniserie fa parte della nuova produzione inglese della BBC, che si sta rivelando sempre più interessante e innovativa nel panorama mondiale. Questo conferma anche quanto la miniserie stia tornando un formato forte e non solo in Europa. Va detto che non siamo in presenza di una riduzione di puntate rispetto ad una serie normale, ma di un allargamento del tv movie, formato che è diventato insufficiente a raccontare la complessità delle storie contemporanee.