Io parlo in prima persona perché questa settimana mi è arrivato un avviso che sto nella lista di coloro che stanno per essere eliminati la prossima settimana. Ma rimanga il punto fermo che la voce della giustizia nessuno mai potrà ammazzarla.
Monsignor Oscar Romero
Le notizie si susseguono da tutto il mondo. Parigi, ma soprattutto Nigeria, dove si racconta che Boko Haram, la milizia fondamentalista, avranno raso al suolo villaggi mietendo 2000 vittime. Nessun hashtag #siamotuttinigeriani. Normale, sono lontani e soprattutto, scusate la brutalità, sono negri. Tutto è terrificante, ma non così improbabile.
C’era una notizia sul giornale di oggi che ha attirato parecchio la mia attenzione in prima pagina, non proprio in evidenza, ma c’era: Riconosciuto il martirio di Monsignor Romero 35 anni dopo la sua morte.
Io sono laico e non credente, ma Romero so bene chi fosse e crede che troppo spesso si parli di martiri ai giorni nostri. Questa è una storia che ancora oggi può significare qualcosa.
Il 24 marzo del 1980 c’era un timido sole sopra l’ospedale della Divina Provvidenza, anche quel giorno monsignor Romero aveva deciso di dire messa. Da tempo aveva ricevuto minacce ed era consapevole che prima o poi, ma molto presto, lo avrebbero ucciso. Le suore lo aiutarono nella preparazione della funzione, dopo di che Romero iniziò a celebrare l’eucaristia. Intanto un paio di macchine si avvicinano alla cappella della Divina Provvidenza. Si fermano. Ne scendono degli uomini che lentamente entrano in chiesa. Non sono di quelli che la frequentano , né tanto meno sembrano venuti a farsi visitare o a trovare dei parenti ammalati. Però sono lì.
Ma chi era Romero? Nato in El Salvador, studiò teologia a Roma, nonostante venisse da una famiglia umile, e poi nel 1942 fu ordinato sacerdote. Il 15 ottobre 1974 venne nominato vescovo di Santiago de María, nello stesso Stato di El Salvador, uno dei territori più poveri della nazione. Il contatto con la vita reale della popolazione, stremata dalla povertà e oppressa dalla feroce repressione militare che voleva mantenere la classe più povera soggetta allo sfruttamento dei latifondisti locali, provocò in lui una profonda conversione, nelle convinzioni teologiche e nelle scelte pastorali, anche grazie all’influenza del gesuita Jon Sobrino, esponente di punta della teologia della liberazione. El Salvador è nel caos, dove un regime uccide e sfrutta, dove la vita umana non vale nulla. O quasi. Un po’ come in molti paesi di oggi, dove magari la maggioranza professa l’Islam. Lì no. Lì sono cattolici. Come in Cile. Sono anni difficili dove la maggioranza dei cattolici non si esprime, chi lo fa rischia quasi la scomunica, eppure nessuno fa titoli chiedendo dove siano “i cristiani moderati“. La teologia della liberazione fa paura, perché parla di una chiesa povera per i poveri, una chiesa aperta e pronta a ridiscutersi. C’è chi li taccia di marxismo, di essere dei comunisti, di voler rovesciare le istituzioni. Anche Romero finisce in questo calderone, soprattutto quando continua a fare appelli per fermare la repressione militare che insanguina il paese. Due saranno i grandi oppositori di Romero, papa Paolo VI e papa Giovanni Paolo II, proprio il papa polacco dirà “Guai ai sacerdoti che fanno politica nella chiesa perché la Chiesa è di tutti”.
Chi sono quegli uomini? Chi li ha mandati? Tra di loro c’è il capitano Alvaro Saravia, militare dell’esercito salvadoregno. Comunque Romero si prepara per dare la comunione ai fedeli. Nel momento in cui alza l’ostia parte un colpo di pistola, un unico colpo di pistola che recide la giugulare del sacerdote. Oscar Romero cade a terra e perde sangue, la precisione del suo killer non gli da scampo. Spira in pochissimo tempo, nonostante si trovasse nei pressi di un’ospedale.
Il mandante sarebbe stato Roberto D’Aubuisson, morto nel 1992 di cancro, all’epoca leader del partito conservatore Arena, oggi al potere, ma Funes il primo presidente di El Salvador proveniente da Arena, chiese scusa per l’omicidio del sacerdote ed ammise la collaborazione fra apparati statali e squadroni della morte durante quel periodo.
La chiesa anglicana, la chiesa luterana e la chiesa vetero-cattolica lo commemorano come martire il 24 marzo. La Chiesa cattolica ancora no. Qualcosa sta cambiando ed è possibile che Romero venga dichiarato Beato. Il riconoscimento non cambia la sostanza dei fatti, certamente, ma mette in luce il riconoscimento dell’errore delle gerarchie ecclesiastiche.
Perché ho ricordato questa storia? Perché troppo spesso in questi giorni si è parlato di un Islam moderato nascosto, che non protesta e che non esce fuori in occasioni di massacri e attacchi come quello a Charlie Hebdo. Impariamo a guardare anche l’occidente. Abbiamo bisogno di una visione più completa. Perché la satira non può andar bene se critica gli altri mentre se è rivolta a noi diventa vilipendio.
P.S. Di Romero mi parlò un sacerdote. Aveva una parrocchia a Grosseto, in via Unione Sovietica.