“Nella nostra epoca il mondo intorno a noi è tagliuzzato in frammenti scarsamente coordinati, mentre le nostre vite individuali sono frammentate in una successione di episodi mal collegati fra loro.”
A rileggere l’intervista a Gaja Cenciarelli, in occasione della presentazione di DOMANI INTERROGO, edito da Marsilio, al bel festival Leggere&Scrivere che si è tenuto a Vibo, mi è venuta in mente questa citazione di Bauman. Ormai ce ne accorgiamo che viviamo in un puzzle e siamo una tessera di questo puzzle che chiamiamo vita. La questione, però, è se siamo disposti ad accettarlo. Non è facile per niente. Allora qualcuno si alza e dice che è meglio degli altri. Il libro di Gaja, che ringrazio per la sua amicizia, ci permette di dare importanza ad un’azione che ci aiuta tantissimo: ascoltare. Trovare la propria voce, raccontare la propria voce, quasi sempre viene dopo aver ascoltato quella degli altri. Soprattutto di chi spesso non viene ascoltato.
Ecco l’intervista.
C’è una giraffa sulla copertina di un libro ed è una giraffa che vaga smarrita di fronte ad una scuola di Rebibbia, quartiere della periferia di Roma, lo stesso di Zerocalcare, il fumettista italiano più famoso degli ultimi anni. La copertina è quella di “Domani Interrogo”, uno dei libri del momento, presentato anche a Vibo Leggere&Scrivere. L’autrice è Gaja Lombardi Cenciarelli, scrittrice, traduttrice – fra l’altro traduttrice italiana ufficiale di Margareth Atwood, l’autrice de Il Racconto dell’Ancella – e professoressa di inglese. Aggiungerei “romana de Roma”, come il sottoscritto, ed amica.
Prima di tutto complimenti per il successo del libro Gaja. Vorrei che tu raccontassi che cos’è questo romanzo, perché non è un libro sulla scuola, vero?
Esatto, questo romanzo è una storia d’amore. Se avessi voluto realmente parlare di scuola avrei dovuto inserire professori e le dinamiche tra i docenti, i consigli di classe, i collegi dei docenti, cioè tutto quello che accade dentro una scuola da quando si chiudono le porte a quando finisce l’orario di lezione. Io volevo scrivere un libro su questi ragazzi. Volevo raccontare e dare ad ognuno di loro la sua voce. La grande sfida da scrittrice è stata questa, dare a ciascuno di loro un’identità connotandola attraverso il linguaggio, che è la cosa che li unisce poi all’inizio, cioè l’utilizzo del dialetto, la lingua che parlano loro come tutti i giovani e non solo.
Il fattore dei linguaggi è quello che narrativamente si sente in maniera significativa. L’insegnante capisce che se vuole comunicare con loro deve usare la loro lingua. Inoltre, al di là del dialetto, ogni ragazzo ha una sua voce, una sua lingua. So che hai usato la tua esperienza di professoressa ma non credo sia stato facile?
Uno scrittore deve sempre uscire dalla sua comfort zone, dalla sua bolla. Io sono cresciuta in una bolla di una romana da dieci generazioni che si è trovata in una zona di Roma dove ha dovuto usare Google Maps per potersi orientare! In questo senso c’è l’incontro fra tante storie e tante realtà che si misurano e si ritrovano una di fronte l’altra. All’inizio c’è uno shock culturale e poi ci sono le storie che ci confrontano.
Un romanzo polifonico?
Fino ad un certo punto. Io non volevo che queste storie si perdessero come lacrime nella pioggia, concedimi la citazione di Dick, ma volevo che tutti loro avessero una dignità narrativa. Lei arriva in questa classe, in un momento in cui sono come carne viva e cerca un gancio a cui aggrapparsi per salvarsi, perché si vive in una situazione molto drammatica. Quindi nel momento in cui entra in questa classe lei si trova di fronte non a degli studenti, lei non li percepisce come studenti. Lei si trova davanti a delle persone. La prima cosa che fa è mettersi in ascolto. Eventualmente pensa di costruire il rapporto in funzione della didattica, ma non può farlo perché siamo in uno scenario difficile. Deve cambiare se stessa. Per lei non è stata una scelta facile è stata una scelta obbligata cambiare il suo atteggiamento nei confronti del mondo. Il resto è venuto dopo ed è lei che rimane conquistata dai ragazzi dalle loro storie, perché per loro c’è il fatto che non percepiscono mai gli insegnanti come persone. Questo è un fatto che non dobbiamo dimenticare eppure è quasi impossibile realizzare, cioè che la scuola è fatta di persone, ognuna con una voce.
Cosa senti che ti abbia lasciato questo libro?
Credo che mi abbia aiutato a trovare la mia voce che è una cosa difficilissima ed è un processo che richiede degli anni. Io quando scrivo, traduco ed insegno faccio delle cose che sono separate, nel senso che al di là delle competenze non mescolo le cose. Questo libro mi ha permesso di indagare dentro di me e di trovare chi sono. Anche io mi sono “ascoltata”.
Chuck Palahniuk, l’autore di vari romanzi fra cui Fight Club ha detto “La gente non ascolta, aspetta solo il suo turno per parlare.” Una frase che esprime il disperato bisogno che hanno le persone di parlare. Il libro di Gaja Lombardi Cenciarelli racconta le storie di ragazzi che compongono una generazione fragile, che vive esistenze difficili e che spesso prova in tutto i modi a parlare ma gli rimane soltanto l’urlare fino a rimanere senza fiato. Come soffocati. Hanno delle storie, sono persone, come tutti. Ascoltarli e leggerli può farci bene. Molto bene.
Ah, la giraffa c’era davvero oltre la copertina. Era scappata da un circo che si era fermato nei prati della periferia di Roma. Il mondo stupisce se lo sai ascoltare.