Sicuri che sia una domanda banale? O magari anche stupida? Visto tutta la dovuta e sacrosanta energia che si mette – ne servirebbe anche molto di più – per la protezione dell’infanzia uno se la dovrebbe davvero chiedere. Si dovrebbe ricordare che bambino è stato e, soprattutto, che bambino è. Che voglio dire?
Lo dice bene Jung: Se c’è qualcosa che desideriamo cambiare nel bambino, dovremmo prima esaminarlo bene e vedere se non è qualcosa che faremmo meglio a cambiare in noi stessi.
Per me se c’è qualcosa che desideriamo cambiare nell’adulto, tipo noi, dovremmo primo vedere che bambini siamo stati. E siamo ancora. Perché le cose non vanno mica via. Non c’è mica una candeggina dell’empatia, delle emozioni, delle ferite, anche per chi come me ha smarrito la memoria. La memoria, i ricordi, non le emozioni.
Non si perdona la propria infanzia. Un’infanzia infelice è come un’anima senza sepoltura, geme in eterno.
(Irène Némirovsky)
Potete davvero dire di no alla frase della Némirovsky? Potete davvero dire che quello che è successo da bambino è dimenticato, sepolto, distrutto, stracciato, polverizzato e sparso come polvere nel cosmo? Se lo pensate o siete degli illusi o stupidi.
I bambini sono degli enigmi luminosi.
(Daniel Pennac)
Vero i bambini sono degli enigmi che emanano luce, soprattutto noi bambini siamo degli enigmi incredibili che non riusciamo a decifrare. O che preferiamo non guardare.
Osserva gli occhi di un bambino, la loro freschezza, la loro radiosa vitalità, la loro vivacità. Assomigliano a uno specchio, silenzioso ma penetrante: solo occhi simili possono raggiungere le profondità del mondo interiore.
(Osho)
Molto spesso ci fermiamo a guardare i bambini quando giocano. Sono splendidi e hanno molto da insegnarci. Spesso però non li guardiamo bene negli occhi. Perché? Perché spesso sono uno specchio di ciò che eravamo noi, dei bambini che siamo stati. Non è una questione di bella o brutta infanzia, per troppo tempo c’è stata la convinzione che ad un certo punto l’infanzia finisse e bisognasse archiviarla.
Il perché non veniva mica spiegato. Si faceva e basta. Ci si ricordava dei bambini da adulti come soggetti da difendere. SACROSANTO! Forse però stavamo facendo qualcos’altro.
Quanto pesa una lacrima? Dipende: la lacrima di un bambino capriccioso pesa meno del vento, quella di un bambino affamato pesa più di tutta la terra.
(Gianni Rodari)
Forse stavamo difendendo noi stessi. Anzi forse semplicemente volevamo parlare con noi stessi, con il bambino che siamo stati. Che siamo.
Sarebbe bello parlare con i bambini che eravamo e chieder loro cosa ne pensano degli adulti che siamo diventati.
(Juan Felipe Gabanhia)
Già. Sarebbe bello. E perché non si può fare? Sicuri che non si possa? Almeno provarci non costerebbe nulla se non esplorare se stessi ed iniziare a capirsi meglio, abbandonando certe convinzioni e stereotipi.
Noi siamo ancora quei bambini lì.
Lasciati guidare dal bambino che sei stato.
(Josè Saramago)
Sono ancora dentro di noi. Ci sono e se ci provate davvero li ritroverete. Non c’è bisogno né che mi diciate che ho ragione – non m’interessa – né che assolutamente non è vero. Io posso solo dire che conosco adulti con gli occhi lucidi quando riescono a ricontattare il bambino che è in loro, a ritrovare tutto quello che c’era in quel sorriso ed in quello sguardo. Quando immaginino di poterli tenere per mano.
Qualcuno si chiederà, con aria strafottente: ma tutto questo serve a qualcosa?
Osserva un bambino che raccoglie conchiglie sulla spiaggia: è più felice dell’uomo più ricco del mondo. Qual è il suo segreto? Quel segreto è anche il mio. Il bambino vive nel momento presente, si gode il sole, l’aria salmastra della spiaggia, la meravigliosa distesa di sabbia. È qui e ora. Non pensa al passato, non pensa al futuro. E qualsiasi cosa fa, la fa con totalità, intensamente; ne è così assorbito da scordare ogni altra cosa.
(Osho)
Io non so se “serve” a qualcosa. Di certo ti fa essere il vero te. Fino in fondo.