American Crime: Una serie protagonista del ritorno delle anthology in tv.
Buoni risultati di pubblico, successo di critica e anche premi, ma l’ABC la chiude. Perché? Bruno Apicella ce ne parla.
Potente. Forte. Dura. Se c’è una serie televisiva che in questi anni non ha fatto alcun tipo di sconto è proprio American Crime, prodotto della ABC di cui si è appena conclusa la terza stagione sul’emittente americana. American Crime è una serie antologica che racconta la realtà. Mettiamolo subito in chiaro: il drama ABC non parla di argomenti semplici e facili da digerire. Non è un racconto fatto da sorrisi, lieto fini e buone parole. È una serie dura. Cruda. Aspra. Come è dura la vita di tutti i giorni.
Come è dura la quotidianità di chi è costretto a confrontarsi con il razzismo l’indifferenza (prima stagione), di chi si sente diverso e non riesce ad esprimersi e a trovare se stesso (seconda stagione). E con la terza stagione raggiunge l’apice affrontando un tema delicato e sempre attuale: lo sfruttamento. Sfruttamento fisico, psicologico. Senza tralasciare poi il problema del lavoro, dell’economia, dello sfruttamento, dell’immigrazione. Rispetto alle due stagioni andate precedentemente in onda American Crime è voluta scendere ancora di più nel profondo. “911 qual è l’emergenza”. Sono le parole che hanno accompagnato l’apertura delle precedenti stagioni e che, adesso, ritroviamo in questa nuova serie di otto puntate. E partendo dalla storia di Kimara (interpretata da una fenomenale Regina King che ha vinto già 2 Emmy consecutive per la serie), un’assistente sociale che si occupa del reinserimento di minori sfruttati e vittime di violenze, che la storia inizia. Ma non sarà Kimara l’unica protagonista della storia. C’è la giovane Shae (Ana Mulvoy-Ten) costretta a vendere il suo corpo per “sopravvivere”.
Nella terza stagione però non viene raccontato solo lo sfruttamento sessuale e la difficoltà degli operatori del sociale a reinserire e recuperare i minori vittime. In più puntate compare anche Sandra Oh, la Cristina Yang di Grey’s Anatomy nel ruolo di Abby Tanaka un’operatrice dei servizi sociali. E Sandra Oh e Regina King regalano delle bellissime scene molte emotive nel corso delle puntate che mettono in evidenza le loro capacità interpretative. Ma non è finita qui. C’è anche il tema dello sfruttamento dei lavoratori. Siamo in North Carolina e Luis Salazar (Benito Martinez) si mette in viaggio dal Messico ed entra negli Stati Uniti come clandestino per cercare il figlio scomparso. È costretto a lavorare nei campi. Ed è qui che vengono raccontate le condizioni degli illegali sfruttati che lavorano per tantissime ore e per pochi dollari al giorno. La verità che Luis sarà più dura della realtà con cui si troverà a confrontarsi in questi giorni. E la storia degli illegali serve, inoltre, ad introdurre il personaggio di Jeanette (Felicity Huffman, anche in questa stagione straordinaria e toccante) la cui famiglia o meglio il marito e i familiari gestiscono, indirettamente o meno, alcuni campi illegali. Colpiscono in questa terza stagione le immagini dei lavoratori, messicani per lo più, che vengono sottopagati per raccogliere pomodori. E vengono fatti dormire in delle proprie baraccopoli in condizioni igieniche al limite del possibile. E quando una di queste baraccopoli andrà in fiamme e perderanno la vita tantissimi lavoratori clandestini è qui che partirà la reazione emotiva e non solo di Jeanette. Nella seconda parte di episodi viene introdotta la storia di Gabrielle, una donna di Haiti che arriva in North Carolina per assistere una famiglia e fare da baby sitter di Claire (anche qui un’immensa Lily Taylor) e Nicolas (Timothy Hutton) . E la vita di Claire all’apparenza perfetta nasconde tanto. E solo nel finale di stagione si capirà la verità sul rapporto tra Claire e Gabrielle.
American Crime è una storia che merita di essere raccontata. Ne avevamo già parlato dopo la prima stagione perchè è una storia che va vista. Vissuta. Puntata dopo puntata. L’impressione, guardando le immagini della serie tv, è che i personaggi portati sullo schermo siano usciti da un romanzo di Giovanni Verga. Sono i “vinti”. Coloro che non si arrendono. Continuano a lottare. Con tutte le loro forze. Ma che non possono fermare o cambiare le scelte che il destino scrive per loro. Non è una serie felice. È un pugno nello stomaco. Ma allo stesso tempo American Crime è un prodotto di qualità. Non è un caso che, negli ultimi anni, sia stata lodata dalla critica. L’unico problema è l’emittente: forse Abc non è stata in grado di gestire il “prodotto” American Crime preferendo serie dal contenuto più commerciale. Infatti la serie non è stata rinnovata per una quarta stagione nonostante gli sceneggiatori e i produttori avessero già deciso il tema per la prossima season: le donne sul posto di lavoro. La speranza, seppur minima, è che la stagione dei premi possa far cambiare idea all’emittente. Di certo American Crime resta una serie bellissima che va vista, vissuta e soprattutto non dimenticata.