Ieri sera ho visto Sanremo, ancora non lo avevo fatto. Questa non è il punto. Come sempre c’erano i comici, prima di Ferrero, presidente della Sampdoria, ci sono stati Luca e Paolo, comici che una volta hanno avuto un forte successo. Hanno fatto un pezzo abbastanza divertente sui vip morti e sulle commemorazioni. Non posso non citarne un passo:“Commemora anche Fazio, officia Gramellini. Però solo se il morto è un cantautore” e “i cantautori genovesi da morti sono anche più allegri” Su Twitter sono apparse molte critiche, perché la sera prima c’era stato un omaggio Pino Daniele, grande artista recentemente scomparso. Poi mi è successo qualcosa di personale sul tema.
Ho scritto un tweet dove ribadivo che si può ridere della morte, assolutamente, come di dio, qualsiasi, o di altre cose. Non sono stato a specificare l’ovvio, cioè che quello che conta è il modo di come si fa una battuta, ma mi son visto rispondere che questo perchè non si trattava di mio figlio! Al di là di questo piccolo incidente, che mi son lasciato alle spalle io non capisco perché della morte non si debba ridere. Prima tutti #jesuischarlie contro chi censura la libertà di espressione ed ora ne seguiamo le orme dei censori? Se vi dicono è perché noi in Italia siamo cattolici è una stupidaggine. In molti paesi del Sud America dove sono cattolici, più ferventi e praticanti non hanno questo tipo di atteggiamento, basta vedere il giorno dei morti in Messico che è davvero una festa, con tanto di canti e balli. E scherzi. Non scherzare con la morte per me è una sorta di rifiuto e le interpretazioni si sprecherebbero, ma restiamo in superficie. Perché possiamo ridere dei negri, dei ciccioni, dei brutti, dei minorati mentali, dei terroni, dei polentoni, degli ebrei, dei cinesi, dei froci, dei carabinieri e di tutte le altre merde umane, ma dei morti no! Nell’ultima frase ho solo raccolto gli argomenti topici di una lunga tradizione di storielle e barzellette. Che poi ieri sera non si rideva dei morti, ma dell’eccessiva commemorazione e delle sue modalità. Nulla di male, anche a me è dispiaciuto molto quando è morto Pino Daniele o altri, però sui social e sui media siamo arrivati che tutti sono stati i migliori amici dello scomparso.
D’altronde lo humour nero è una colonna portante della cultura occidentale e non solo. La stessa espressione humor noir non è di un comico ma di Andrè Breton, forse il teorico più rappresentativo del surrealismo francese, che lo identifica nel 1935 come un sottogenere della satira e della commedia, identificandone un padre nobile come l’irlandese Jonathan Swift – quello di Gulliver. Certamente i popoli anglosassoni sembrano avere un feeling maggiore con lo humor nero, nella letteratura americana i primi furono sicuramente West, autore de Il giorno della Locusta, e Vladimir Nabokov, l’autore di Lolita e di altri capolavori. Non si tratta di casi isolati, nella grande tradizione dello humor nero troviamo Bruce Jay Friedman, Louis-Ferdinand Celine, Roald Dahl, Thomas Pynchon, Kurt Vonnegut, Warren Zevon, John Barth, Joseph Heller e Philip Roth. Il motivo per applicare l’etichetta di umorista nero per tutti gli scrittori sopra citati è che hanno scritto romanzi, poesie, racconti, opere teatrali e canzoni in cui eventi profondi e terribili vengono ritratti in maniera comica. Se non vi piace leggere magari avete visto qualche spettacolo di Lenny Bruce, Sam Kinison, Richard Pryor, George Carlin, Bill Hicks, Jimmy Carr, Frankie Boyle, Chris Morris, i Monty Python, Louis C.K., Christopher Titus, Daniel Tosh, Doug Stanhope, Jeff Dunham, Dane Cook e Anthony Jeselnik. Magari avete visto qualche film sull’argomento come Brian di Nazareth e Il Senso della vita dei Monty Python, oppure Il Dottor Stranamore di Stanley Kubrick.
Questa lista non serve a nulla se non a ribadire quanto siamo invischiati in questa tradizione di umorismo e morte, mentre lentamente ci stanno imponendo dei burqa sempre più moralistici. D’accordo che ci voglia garbo, ma il problema è sempre il come e mai il cosa.