Mettiamoci Pinocchio Disney, cerchiamo di tirarci un po' su, ma bisogna iniziare a farci i conti col fatto che esistono in Italia, e non solo, dei "cattivi giornalisti", gente che pubblica articoli senza neanche preoccuparsi non dico del fact checking, ma di avere i punti di vista di tutte le parti in causa, cosa facile quando le parti in causa sono solamente due. Questi cattivi professionisti son un danno per tutta la categoria, perchè sappiamo che generalizzare è un attimo, uno sbattere le ciglia e poi di deve faticare parecchio per ricostruire una reputazione, sempre che della reputazione importi qualcosa.
La vicenda che riguarda una fashion blogger che avrebbe rubato dei capi d'abbigliamento dopo una sfilata di moda è ben raccontata dal post di Maurizio Galluzzo.
Quando i giornalisti parlano di fashion blogger | Maurizio Galluzzo
Proprio in questi giorni, mentre giornali e partiti di destra e sinistra sono uniti per difendere il diritto di diffamazione da parte dei giornalisti, ecco un altro incredibile caso. Il Corriere, a
http://www.mauriziogalluzzo.it/quando-i-giornalisti-parlano-di-fashion-blogger
C'è poi anche il rapporto con la rete. Le cose non vanno affatto bene. Abbiamo dei giornali online che stentano a volte a seguire uno stile consono e sembrano dei portali di basso livello, altri che poi cambiano foto, cancellano commenti, come fossero dei newbie alle prime armi. L'autore dell'articolo del Corsera è uno che ha vinto un premio, quindi neanche un praticante, un mestierante, è uno che lavora nel primo giornale d'Italia e scrive che gli abiti venivano successivamente venduti sul blog e su Linkedin. Linkedin? Lo stesso Linkedin? Magari poteva fare una ricerca su Google, oppure chiedere a qualcuno. Succede tutto questo dopo lo sciacallaggio de Il Fatto Quotidiano, che è riuscito a titolare "Quando la rete uccide", in merito al suicidio del ragazzo di 15 anni a Roma. Una cosa disgustosa e il successo di tale giornale è dovuto alla rete in gran parte, mentre sembra comportarsi peggio del Tg1. Quello che mi colpisce è l'ignoranza, non solo strategica e tattica, ma anche nell'uso del mezzo. Mi sembra che siamo nel paradigma che tanto alla fine è tutto uguale, che lo specifico del mezzo non esiste, che le grammatiche non servono a nulla, che tanto alla fine l'utente "se magna sempre la stessa merda". Invece no! Gli utenti cambiamo e cambiamo sempre di più. C'è un esercito di giornalisti in gamba che stanno nelle redazioni come collaboratori, tirocinanti e tante altre forme di precariato, lì a lavorare, usando la rete e collaborando con la rete, ma che i "baroni", perchè, adesso generalizzo io, i giornalisti sono una casta, non gli permettono di andare avanti. Ci sono grandi baroni che usano il lavoro dei quotidiani locali per guadagnare molti soldi e andare in televisione, ci sono tribuni che se finalmente un certo politico andasse in pensione non avrebbero neanche una vita sociale!
Quando è uscito il titolo de Il Fatto io volevo scrivere un post al vetriolo, perchè è un giornale che ha fatto del moralismo un marketing perfetto, andando ad occupare una nicchia scoperta. Bravissimi, ma cercate di applicare lo stesso metro anche su voi stessi. Invece no, la ditta Padellaro – Travaglio dà lezioni, addirittura fa un buon lavoro anche per un certo movimento politico, prima lo facevo per un partito di alti "valori", ma non si dice, non si può dire. Certo si può stare da Santoro e attaccare la Gabanelli per difendere Di Pietro, ma poi che fai critichi il Tribuno! No dai. Che poi il Tribuno è pure un bravo un bravo giornalista e scrive bene, ma si crede il migliore, si crede davvero il migliore. E invece…