The Toxic Twitter: per un ecologia della comunicazione

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The Toxic Twitter: per un ecologia della comunicazione

*da Intervistato.com Il post era diviso in due parti. Qui sono raccolte.

Nonostante il miliardo di Facebook Twitter sta registrando un incremento molto più forte del social made by Zuck. L'Italia non è da meno, come non lo sono neanche i politici del nostro paese che stanno sbarcando in massa sul network "cinguettante" e lo usano molto di più di quanto facciano del loro account Facebook.

I risultanti sono poche volte positivi, sia per presenza, sia per modalità, che per interazioni, però stiamo assistendo ad una deriva del linguaggio che si fa preoccupante, anche perché la deriva sta sconfinando dagli spazi social al mondo reale.

Il 16 ottobre in parlamento, l'onorevole Franco Barbato dell'Idv ha chiuso il suo intervento ribadendo che se gente come Formigoni e Scopelliti vogliono scendere ancora nel campo della politica lui li manderebbe "nei campi di concentramento". Fra l'altro proprio il 16 ottobre era l'anniversario del rastrellamento del Ghetto di Roma, quando oltre 1000 ebrei furono presi dalle loro case e deportati. Oggi Beppe Grillo afferma che Renzi soffre di invidia penis perché vorrebbe essere il M5s. Nonostante il latino si tratta sempre di citazioni di bieco maschilismo, tipico dei gabinetti di bar, che a me francamente ricorda molto il Bossi di una volta, poi quando si dice il M5s va a prendere i voti della Lega si viene additati quasi come difensori della casta. Sta di fatto che il linguaggio dei 140 caratteri sta contagiando le dichiarazioni politiche. E' indubbio che il tasso di comunicazioni populista sia in ascesa fortissima e già da qualche anno, ma la frequentazione con le modalità veloci di Twitter sta lasciando segni profondi. Stiamo vivendo una campagna elettorale molto dura e che iniziata già da molto tempo, troppo tempo, stiamo vivendo una fase di linguaggio tossico di cui si fatica a vedere le traiettorie.

Lovink affronta il tema dei commenti sui social puntando il focus su come gli utenti rimangano nella sfera del linguaggio basso, nell'organizzazione non del dissenso, piuttosto della rabbia, della reazione e del risentimento. In realtà quello che si vuole è produrre un effetto. Alcuni lo utilizzano come strategia per acquistare follower, aumentare il proprio buzz in modo che la loro visibilità aumenti, senza preoccuparsi degli effetti a lungo termine, primo fra tutti l'inquinamento psichico.

Un paio di volte mi sono trovato a discutere con Giovanni Scrofani di questo tema, vi segnalo un suo post importante, L'Estate della Cultura Tossica, proprio sui marcatori tossici della cultura e di come questo fenomeno si stia allargando. Non cerco colpevoli, perché non ci sono colpe, ci sono fenonemi che si stanno accelerando e qui l'influenza del digitale ha un effetto profondo sulla nostra sfera del comportamento, ma c'è sicuramente una questione più importante: "l'ordine del discorso", per dirla con Foucault, sta cambiando alla radici, fino alla nostre sinapsi, figuriamoci ai comportamenti. Le parole e i discorsi si stanno reificando e forse non siamo ancora pronti per interagire con questi oggetti tossici. Di questo ne parleremo nella seconda parte di questo post.

Seconda Parte

Noi creiamo il mondo che percepiamo, non perché non esiste realtà fuori dalla nostra mente, ma perché scegliamo e modifichiamo la realtà che vediamo in modo che si adegui alle nostre convinzioni sul mondo in cui viviamo. Si tratta di una funzione necessaria al nostro adattamento e alla nostra sopravvivenza.

Gregory Bateson

Continuiamo. Continuiamo e non finiamo, perchè il digitale è un discorso troppo vasto e forse stiamo utilizzando dei termini impropri per parlarne, perchè la rete è in continua espansione e i social sono solo forme provvisorie che abitiamo ora, ma che fra qualche tempo saranno lasciati in abbandono per altre pratiche ed esperienze. Necessitiamo di una nuova ecologia della mente, visto che siamo immersi in un'esperienza talmente totalizzante che non sappiamo quali saranno le conseguenze a lungo termine. E' un cambiamento d'ambiente, a tutti i livelli, talmente profondo, considerato anche l'aumento esponenziale della velocità dei processi, che non conosce precedenti né con l'invenzione stampa, né con la rivoluzione industriale, nè con l'era televisiva. Eppure noi continuiamo ad usare i nostri schemi per analizzare questo paradigma, proseguiamo nel voler adattare il cambiamento a noi, mentre continuiamo ad essere modificati. Questo è un punto che deve essere chiaro: la produzione dei discorsi come prodotto intellettuale e sociale vive una mutazione. Avremmo bisogno di un altro Bateson e di un altro Foucault, soprattutto perchè è la "struttura" ad essere andata in crisi.

Bieber ha il cancro! Non è vero, ma quanti c'hanno creduto? Quanti si sono rasati la testa in segno di solidarietà? Quanti hanno messo uno status di Facebook, pare scritto da sedicenti avvocati, credendo che così le autorità non potessero monitorare le loro attività sui social? Sembra di essere tornati al tempo televisivo, quando la si prendeva come oracolo, solo che qui è tutto "aumentato" ed in maniera esponenziale. Se per la tv non bastava spegnerla, per la rete meno che mai. Siamo perennemente connessi, continuamente elettrizzati e soprattutto si cercano cose affini, non si sfida il nuovo.

Qui non siamo alla repressione, qui siamo al governo, se non al suo autoritarismo, del loisir, della suggestione, Il Mondo Nuovo di Huxley ha stravinto sul Grande Fratello di Orwell. Il controllo non è su quello che fai ma su quello che acquisti, sulla sfera emotiva, caricando di stress i soggetti della comunità, che siamo tutti noi. Tutto questo "inquina" i nostri processi percettivi, li modifica, anche se non siamo consapevoli, ma basta pensare a come oggi si scrive un post, un blogger quasi automaticamente pensa già a cosa scrivere perchè il suo post sia indicizzato al meglio, se poi parliamo di Twitter, si ragiona in 140 caratteri, e per Instagram sappiamo che l'autoscatto è inutile perchè farsi una foto da soli è uno stile, meglio se si vede lo smartphone più modaiolo.

Abbiamo bisogno di una nuova ecologia della comunicazione per una comprensione del mezzo, ma soprattutto che riesca a capire come comunicare e che linguaggi usare in questo nuovo ambiente, che non è neanche un medium, ma una sinestesia fortemente pervasiva. La rete è un iceberg, in questo momento siamo sulla punta e abbiamo bisogno di scendere di più per capire cosa c'è alla base. Il mio dubbio è che non ci sia la voglia di farlo. Perchè? Perchè sotto fa freddo e non ci sono luci colorate.