The Last of Us: dalla Playstation a Sky

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Già rinnovato per una nuova stagione solo dopo i dati della seconda puntata dicono le notizie ufficiali, ma sappiamo bene che un progetto del genere doveva prevedere quasi sicuramente almeno una seconda stagione, The Last of Us si va ad aggiungere nella sempre più lunga lista degli adattamenti dal mondo dei videogame. Che significa? Significa che siamo lontanissimi ere geologiche dai tempi di Space Invaders e Zaxxon, ma anche dagli oggetti come Candy Crush e passatempi da mobile. I videogame sono da tempo esempio di universo narrativo “forte”, specie da quando esistono dei dispositivi hardware, le consolle come Playstation ed Xbox, atte solo a quella funzione. Se prima il videogioco era uno degli anelli finale della catena delle versioni di adattamento di un contenuto, adesso può esserne il capostipite. Come in questo caso. Con The Last of Us, in onda su Sky, ci troviamo di fronte ad un oggetto molto particolare, nuovo e vecchio, innovativo e stabile, allo stesso tempo.

Questo ne sta decretando il successo, che era già partito dalla serie videoludica di Naughty Dog, in cui c’era anche un titolo fra i più “giocati” come Left Behind, per Playstation e che ora arriva nella serialità televisiva, mentre gli appassionati gamers aspettano la nuova parte per Plyastation 5. Il racconto qui si concentra, come d’altronde era ovvio per le possibilità del linguaggio, sui personaggi e meno sulle vicende “action”, anche se non mancheranno, state tranquilli. Quello che rimane subito dopo il primo episodio e di più dopo il secondo è la sensazione che ci troviamo di fronte a qualcosa di molto differente dal classico prodotto zombie come erano stati titoli di successo, come The Walking Dead e lo spinoff Fear The Walking Dead, dopo che Romero portò al grande pubblico il fenomeno del folclore haitiano con La notte dei morti viventi nel 1968, ma che ha una lunga tradizione antecedente nel cinema e non solo. Due titoli che non possono essere dimenticati su tutti, il primo film con il mito dell’horror, l’attore Bela Lugosi, che nel 1932 interpretava L’Isola degli Zombies e Ho camminato con uno zombie del 1948 per la regia di Jacques Tourner.
Torniamo all’oggi, soprattutto a The Last of US, che nella sua prima puntata ha una struttura narrativa molto particolare: Spiegone, Azione-Casus Belli, Setting-Casus Belli – Partenza del Viaggio Narrativo. Lo so che magari sembrano soltanto elucubrazioni mentali di chi si occupa di narrazione e sceneggiatura però è la prima volta che sin dall’inizio sappiamo perché quelli che chiamiamo volgarmente e per comodità zombi sono effettivamente zombi!

Cosa succederebbe se, per esempio, il mondo diventasse più caldo e i funghi avessero la necessità di evolvere per sopravvivere a condizioni climatiche mutate, diventando capaci di proliferare anche nel corpo umano, raggiungere il cervello, prendere il controllo di milioni persone in una furia pandemica senza precedenti? Quello che succederebbe, molto banalmente, è che perderemmo. Più o meno con queste parole un sorprendente John Hannah introduce al pubblico il Cordyceps, in un talk show di argomento scientifico degli anni ’60 dove gli ospiti fumavano in studio, come una minaccia remota, eppure plausibile, futuribile. Salto temporale nel 2003 dove vediamo un reduce di Desert Storm condurre la sua vita tirando su una famiglia e facendo lavori di edilizia insieme al fratello. Boom. Sconvolgimento che porta all’invasione di zombie e non diremo altro per non essere sacrificati sull’altare dello spoiler. Salto temporale e siamo all’oggi, nel 2023, dove troviamo lo stesso in una Boston gestita da una forza militare che brucia corpi di infetti. C’è una sorta di stato militare che governa queste città di sopravvissuti e c’è una ribellione che vuole ristabilire un minimo di democrazia. L’infezione avanza ma c’è una speranza ed è proprio per questa speranza che parte il viaggio narrativo. In tutto questo agiscono tre attori che a nominarli insieme mettono i brividi a chi ama le serie tv, Pedro Pascal cioè The Mandalorian ed anche uno dei Martell di GOT, Anna Torv, attrice australiana che è stata l’agente Olivia Dunham su Fringe di J.J Abhrams e l’ancora giovanissima Bella Ramsey, cioè Lyanna Mormont, uno dei personaggi più inquietanti di GOT. Un tris d’assi che davvero promette bene per un adattamento fortemente ambizioso da un videogioco amatissimo e continuo a ripeterlo per quelli che considerano la comunità videoludica roba da adolescenti, dimenticando quanto siamo vivendo nell’epoca dell’adolescenza infinita come ci dicono, a mio avviso con piena ragione, parti del mondo delle scienze umane. La serie televisiva di The Last of Us trova così compiutezza narrativa proprio nella pluralità degli sguardi che mette in scena intorno a Joel (Pedro Pascal) ed Ellie (Bella Ramsey), nel senso di narrazione ambientale raccontato dai tanti inserti che raccontano quello che c’è prima, quello che abbiamo perso, come esseri umani, e quello che hanno perso tutte le persone con cui si intreccia la storia dei due personaggi principali. Pur mettendo al centro il viaggio e il rapporto tra una giovanissima ragazzina che si ritrova, suo malgrado, ad avere una responsabilità troppo grande sulle spalle e un uomo profondamente segnato dal dolore per la sua perdita, la serie si prende comunque il tempo per indagare sulle motivazioni degli altri personaggi, attraverso inserti e blocchi narrativi integrati nel flusso della narrazione e, a volte, in grado di descrivere periodi di tempo molto lunghi, utili a farci intravedere cosa è successo nei vent’anni che separano l’inizio dalla pandemia dagli eventi raccontati nell’arco narrativo principale. Un adattamento riuscito? Non proprio. Siamo di fronte ad una versione audiovisiva dello stesso racconto e che usa tutti gli elementi del linguaggio del mezzo tv per raccontare la stessa storia, che non è uomo VS zombi, ma uomo VS uomo. Davvero ambizioso e rischioso. Funziona, dunque, The Last of Us, perché è pensata come uno show televisivo di alto profilo, ma perché, soprattutto è un evidente sforzo collettivo di tutti i talenti coinvolti, segno che alla fine, spesso le chiavi per migrare da un medium all’altro sono due: avere la possibilità (e i mezzi) per lavorare bene e sapere cosa si sta facendo, che mi rendo conto che sono due condizioni basilari per riuscire in qualsiasi impresa ma che no, non sono affatto scontate. Sicuramente qui troveremo tanti pareri diversi, specie da chi è dentro o fuori il mondo dei videogiochi, ma a mio avviso siamo di fronte ad un prodotto che è il miglior adattamento da un videogame, oramai non sono pochi, e a gennaio già con una delle migliori serie tv del 2023.

 

VIDEOGAME DA GUARDARE

Una volta il circuito produttivo era libro-film-serie tv- videogioco. Il mondo cambia ed i linguaggi ancora più velocemente. Halo, ora una serie tv su Paramount+, era un videogame realizzato per la nascente Microsoft Xbox. Su Netflix c’è The Witcher, che ora ha anche uno spinoff, tutti un successo da videogame e dai libri di Andrzej Sapkowski. Ne aspettiamo altri molto interessanti e anche famosi. Lara Croft dopo i film interpretati da Angelina Jolie sarà una serie per Netflix con la protagonista interpretata da Agent Carter, proprio Haley Atwell che viene dall’MCU. Titolo che si annuncia molto interessante, sempre Netflix. è Far Cry che avrà come protagonista oramai un veterano come Giancarlo Esposito. Anche la saga retrofuturistica di Fallout diventerà una serie tv, su Prime Video. Ci stanno lavorando Lisa Joy e Jonathan Nolan, il duo dietro Westworld.