Sweet Tooth: la dolcezza come arma di cambiamento
Avevamo lasciato la Sicilia di Anna di Ammaniti e ci ritroviamo in USA con Sweet Tooth, una serie tv entrata nel cuore degli spettatori di Netflix. I dati comunicati dal CEO della piattaforma di streaming lo collocano al nono posto nella classifica delle serie più viste in assoluto. Netflix ha un pubblico variegato che ha messo primo posto il feuilleton Bridgerton ma che amato moltissimo un titolo come La Regina degli Scacchi (come dargli torto).
Fra Sweet Tooth, serie post-apocalittica di sapore sci-fi e fantasy, e gli spettatori è stato amore a prima vista. Rating talmente che si era deciso per la seconda stagione prima della fine della prima. La serie è prodotta da Robert Downey Jr e da sua moglie Susan. Quando si tratta di affari Iron Man, il motore propulsore del Marvel Cinematic Universe, lo fa sempre con la sua socia di vita (lo capisco benissimo).
La serie, ispirata all’omonimo fumetto DC Comics di Jeff Lemire, appartenente alla linea adult Vertigo, ci prende per mano dolcemente, trasportandoci in una Terra alternativa dove un virus, se da un lato ha sterminato gran parte della popolazione, dell’altro ha consentito lo sviluppo di specie ibride antropomorfe. Una fabula che riflette sull’importanza della diversità e della salvaguardia ambientale, con toni delicati e sussurrati. La realizzazione, ideata da Jim Mickle che ha alle spalle We Are What We Are e Hap and Leonard.
Tutto parte da un virus, che nei fumetti ha un nome evocativo: Affliction. Come Anna tutto sembra ispirata al nostro presente pandemico, ma il fumetto ha circa dieci anni. È chiaro fin da subito che l’epidemia è solamente un pretesto, un trigger per usare un termine narrativo, per tratteggiare, in un mondo privo di bussola morale e di condanna, la totale assenza di valori e di cultura, con un ritorno alla più ferale sopravvivenza, privata di ogni piccola briciola di raziocinio e “umanità”. In questa società per certi versi tribale, che ricorda Walking Dead ed i suoi cloni, l’unica speranza, speranza ostacolata, dell’umanità sono gli ibridi. Questi bambini sono nati metà umani metà animali e Gus (Christian Convery), il nostro piccolo protagonista, è uno di loro, condividendo il DNA con la famiglia dei cervidi. Il bambino vive insieme al padre (Will Forte) in un terreno nel parco di Yellowstone al sicuro dagli Ultimi Uomini, un gruppo militare comandato dal Generale Steven Abbot (Neil Sandilands) che combatte per la sopravvivenza più estrema e che è a caccia di ibridi, per ucciderli o studiarli in laboratorio. Circostanze sfortunate obbligano Gus (chiamato affettuosamente Sweet Tooth) a fuggire dalla sua casa e lanciarsi in un’avventura in compagnia di Tommy Jepperd (Nonso Anozie), un reietto, per trovare la sua mamma scomparsa.
Una narrazione completa oltre la fabula ecologista
Quando si compone un universo di questa portata, con tanti dettagli, eventi e personaggi, l’aspetto più importante è la coerenza di fondo, la coerenza narrativa. Sweet Tooth riesce perfettamente nell’intento, usando come cifra stilistica e guida narrativa e registica, il mondo naturale, che aiuta a creare un background efficace. Per molti il tema fondante della serie è che la natura si sta riprendendo i propri spazi, riuscendo a riconquistare una centralità persa sotto il controllo degli esseri umani. Se però credete di trovarvi di fronte una novella ambientalistica piena di ragionamenti e trovate ridondanti sull’ecologia, vi sbagliate di grosso. Sia perché c’è una ricercatezza dei contenuti da manuale, che cerca sempre e comunque di differenziarsi, sia perché le tematiche affrontate sono davvero innumerevoli e diverse tra loro: ognuna ha il proprio spazio su schermo e, soprattutto, interagisce con le altre armonicamente, senza offuscare o prevalere sulle altre.
Qui siamo di fronte ad una trasformazione in piena regola, in una mutazione vera, dove si esalta quello che è la mescolanza al contrario della purezza. Il tema della sopravvivenza molto spesso viene accoppiato a quello della perdita di purezza. C’è sempre in alcuni strati della società, purtroppo non solo nella narrazione, una certa nostalgia dei bei tempi andati, del tempo che fu. Un tempo che fu costruito a tavolino, visto che oltre alle barbarie e distorsioni che ogni epoca porta con sé, tutti i grandi imperi e regni più duraturi sono prosperità proprio abolendo la purezza e favorendo la mescolanza! Sweeth Tooth usa un’arma non convenzionale: la dolcezza. Sia nel racconto che nel modo di narrare La fotografia è infatti particolarmente ispirata, come anche la rilassante e incantevole colonna sonora. Entrambi gli aspetti fanno parte integrante della coerenza naturalistica ricercata dalla realizzazione, che così trova un suo compimento fatto di cromie ben precise e brani introspettivi dalla portata quasi filosofica. Sweet Tooth è una serie sincera e suggestiva: una fabula delicata e armoniosa, dal contenuto luminoso e positivo e tanti messaggi di speranza dei quali, in un momento come questo, abbiamo fortemente bisogno. Non stupisce il successo di massa che costituisce un esempio nuovo di come tratteggiare le tematiche post-apocalittiche.