Su Muccino: Come si racconta un’emozione? Con una storia

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Il corto-spot-promozionale di Gabriele Muccino fatto per la Regione Calabria ha sollevato parecchie polemiche. Alcuni hanno parlato dei costi, ma in relazione al risultato principalmente, che, stando alle reazioni, ha soddisfatto una quota di persone vicina allo zero.
Ho letto molte cose: “non era uno spot”, “voleva emozionare” e molto altro. Non ho scritto niente su questo blog e non commenterò gli errori che il corto ha in sé, non sono nella sua costruzione, ma anche nella sua intenzione. Vogliono invece concentrarmi sull’aspetto di “raccontare una storia”, perché raccontando una storia ci si emoziona.

Le storie sono il carburante delle emozioni umane, dalle tavolette di argilla che parlavano di Sinbad, poi con Omero, passando per Dante, Shakespeare, Cervantes, arrivando fino al cinema e alle forme di narrazione seriale e oltre.

Le grandi storie hanno successo perché sono in grado di catturare l’immaginazione di un pubblico numeroso o importante.

Una grande storia è vera, non perché è realmente successa, ma perché è coerente e autentica. Il pubblico, anzi i pubblici, sono bravissimi a fare le pulci a qualsiasi pagina o fotogramma, l’abbiamo visto anche ora con Muccino, che ha dato molti spunti a chi fa ironia e comicità in rete.

Le grandi storie fanno una promessa. Promettono divertimento, sicurezza o una scorciatoia. La promessa deve essere audace e audace. Deve valere la pena, perché una storia chiede molto a noi: il nostro tempo e la nostra attenzione. Per noi non è poco. Anzi! Tempo e attenzione sono quello che chi racconta storia ci chiede. Per questo ci deve offrire qualcosa di importante, perché non siamo obbligati a guardarlo, questo lo dobbiamo sempre ricordare.

Le grandi storie devono essere affidabili. La fiducia è la risorsa più scarsa che ci rimane. Oggi più che mai nessuno si fida di nessuno. L’ho scritto anche recentemente che servono giardinieri della fiducia e non della paura. Di conseguenza, nessun narratore, che sia a scopo di intrattenimento o promozionale,  riesce a raccontare una storia se non si è guadagnato la credibilità per raccontarla.

Chiariamo una cosa poi, anche la pubblicità è una storia! Guardate i vecchi “carosello” italiani, pensate alle soap-opera, il cui nome deriva dal fatto che erano promosse dalle aziende di prodotti di bellezza, e capirete perché. Ogni storia “promuove” – nel senso letterale di muove per muove verso – un messaggio o un epilogo. Ogni storia, infatti, ha sempre un obiettivo!

Le grandi storie sono sottili. Sorprendentemente, meno dettagli vengono raccontati  più la storia diventa potente. Perché? Perché la storia deve incuriosire e conquistare, per procedere, passo dopo passo, step by step, come dicono gli inglesi. Per questi i modelli delle storie, che si trovano nei più famosi manuali acquistabili nelle librerie, parlando di divisioni in atti. Tutto deve puntare alla conclusione finale, alla scoperta della verità. Le storie brevi devono avere questo tipo di meccanismo più concentrato e rafforzato. Una storia breve non può annoiare, ha poco tempo a disposizione, la fiducia deve essere conquistata in fretta. Le prime impressioni sono molto più potenti di quanto non si creda. Noi dobbiamo essere invitati ad entrare in una maniera forte.

Le grandi storie non hanno bisogno di spiegazioni. Chiamano i nostri sensi, chiamano la parte i nostri meccanismo cerebrali bottom-up , quelli di alcune parti della corteccia cerebrale – come ci dice la nuova scienza del neurobranding – che richiamano i centri nervosi sparsi lungo tutto il nostro corpo. Come si fa? Con le emozioni. Una storia deve sempre guadagnare la nostra curiosità. Una storia è il terreno in cui si stringe un patto fra chi la produce e chi la fruisce. Che siano i Fratelli Karamazov o un video promozionale!

Le grandi storie raramente sono rivolte a tutti. Le persone comuni sono brave a ignorarti. La gente media ha troppi punti di vista diversi sulla vita e la gente media è nel complesso soddisfatta. Se hai bisogno di annacquare la tua storia per attrarre tutti, non piacerà a nessuno. Le storie più efficaci corrispondono alla visione del mondo di un piccolo pubblico – e poi quel piccolo pubblico diffonde la storia. Le grandi storia si rivolgono a te. Quando tu guardi una storia non ti interessa di quello che pensano gli altri.

Le grandi storie non si contraddicono da sole. Ogni cosa deve essere al posto giusto nel momento. La soglia di tolleranza per gli errori e davvero bassa. Perché? Perché nessuno vuole sentirsi tradito nella sua fiducia.

Può una grande storia farci cambiare il nostro punto di vista sul mondo? Si, ma è molto difficile. Nella maggior parte dei casi gli uomini aderiscono al loro confirmation bias, cioè alla loro visione del mondo dovuta anche al mondo in cui vivono. Sono le emozioni che una storia dà che possono incidere su questo! Carl Gustav Jung disse:  senza emozione, è impossibile trasformare le tenebre in luce e l’apatia in movimento. L’emozione è la vera via per muovere il cambiamento, però l’emozione si muove attraverso le storie.
Non esistono emozioni senza storie, siamo i figli di Omero e di Sinbad non scordiamolo mai.