Stranger Things 2: il business della nostalgia funziona

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Inizio scialbo, ma poi si riprende bene

La nostalgia è un business. Questo è un pensiero di cui dobbiamo tenere conto soprattutto se parliamo di televisione, basta guardare la televisione d’estate, fra repliche e riprogrammazioni, per capire come le novità siano sempre più scarse – magari anche per il costo dei formati e dei contenuti nuovi. Però a volte la nostalgia è fornitrice di nuovi percorsi, soprattutto se ci si sa giocare e lavorare – è la lezione del postmoderno. Netflix, il gigante della tv online, c’era riuscito già con la prima stagione di Stranger Things, che aveva visto anche il ritorno di una delle star più amate degli anni ’90, Winona Ryder, famosa per Edward Mani di forbice, Dracula di Bram Stoker. e L’Età dell’innocenza. Adesso è uscita la seconda stagione di Stanger Things con un battage pubblicitario che ha invaso non solo i piccoli schermi, ma anche la rete. L’attesa c’era. 

La prima stagione di Stranger Things mi aveva appassionato, perché negli anni ’80 ero un bambino che comprava i fumetti in edicola, comprese le buste-sorpresa, quelle dove non sapevi mai cosa ti capitava, quasi sempre residuati del decennio precedente (certe scorte dovevano essere smaltite) e che nel 1983 vide Wargames, il capolavoro di John Badham, in un cinema vero, niente tv o videocassette.
Parliamo della serie: siamo sempre nel mondo del Sottosopra, una dimensione parallela che vive a sé stante, ma collegata con la nostra tramite passaggi fisici. Protagonisti sono sempre il quartetto dei giovanissimi adolescenti, più Eleven (11), la ragazzina con i poteri psichici, che affronteranno questi mostri-rettili che sembrano diretta emanazione del ciclo di Alien – territorio anni 80 – soprattutto per come aprono la bocca. Dal decennio 80 arrivano anche le biciclette, come non pensare al film manifesto del ciclismo di quegli anni, ovvero E.T. di Steven Spielberg, che è ancora amatissimo da moltitudini di fans. I cattivi ci sono e non vengono solo dal Sottosopra.

La seconda stagione di Strange Things, dalla quale mi aspettavo molto, parte male. E’ noiosa, senza guizzi, senza emozioni, nonostante qualche circostanza interessante, però siamo alla calma piatta. C’è regola sulle serie tv, una delle tante create sul campo: prima di dare giudizio aspetto la quarta puntata – certo dipende dalla lunghezza dell’arco narrativo. Proprio alla quarta stavolta qualcosa si muove e dalla quinta si comincia a vedere un pensiero narrativo, una trama. Hanno aggiunto un personaggio nuovo, una ragazzina che entra nel gruppo, Max, interpretata dalla piccola Sadie Sink. Insieme a Eleven sono le due “femmine” del gruppo. Cosa normale per un gruppo di maschietti che sta crescendo e che vuole ancora crescere, ma senza abbandonare del tutto l’infanzia, in fondo si vive sempre una età di passaggio, la crescita maschile è lenta.
Comunque alla fine la serie è abbastanza divertente e godibile con dei momenti di buon livello, ma non c’è niente che ti faccia gridare al nuovo fenomeno televisivo come la prima volta. Nonostante nel cast ci siano anche Paul Reiser, stand up comedian americano, famoso per la sitcom con Helen Hunt Innamorati Pazzi, e Matthew Modine, il soldato Joker di Full Metal Jacket e uno degli attori preferiti di Robert Altman, la stagione non è esaltante. Certo regge anche se molti non sono stati soddisfatti, ma la fretta è sempre una cattiva consigliera. Le scene finali sono quelle di una classica promenade scolastica americana, si proprio uno di quei balli in palestra di cui sono piene le serie, le commedie e i film dell’orrore – come scordare Carrie lo sguardo di Satana!
Si sa già che ci sarà una terza stagione, forse anche una quarta. I rimandi agli 80 sono tanti, non solo quelli citati, anche i ragazzini che vanno in giro vestiti da Ghostbusters, oppure la canzone Thriller di Micheal Jackson, i Goonies, vero caposaldo degli anni 80. Forse il gioco delle citazioni e dei rimandi è il divertimento più forte di tutta la serie e non è secondario vista la presenza di Sean Astin nel cast.