Sta zitta che sei femmina

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Sta zitta che sei femmina

Fabiana Luzzi è morta. Lo sappiamo tutti che è l'ennesimo vittima di quella tragedia che porta il nome di femminicidio. Non tutti sanno che visto che la vittima calabrese si è tentato di far passare un luogo comune: i femminicidi sono roba da Calabria o al massimo roba da Sud. Perché? Perché è comodo, perché molti operatori dei media amano i luoghi comuni, sono molto facili da spacciare, non c'è bisogno di fare approfondimenti, sono molto comodi anche perché rafforzano la parte dei negazionisti. E'una roba da terrori in fondo, avrà esclamato qualcuno e queste cose sono andate in scena. Se siete abbastanza forti, magari ascolterete la puntata di Melog, programma di Radio24 condotta da Gianluca Nicoletti, che stimavo, ma ora sento che devo un po' rivedere il mio giudizio. Tutto parte dalla famosa lettera della trentenne calabrese,Francesca Chaouqui, che racconta la sua esperienza di fuga dalla Calabria, che generalizza per tutte le calabresi. Alla lettera ha ben risposto, sempre sullo stesso blog, lo scrittore anche lui calabrese, Biagio Simonetta, con un'altra lettera. Si dirà, ma quello è un uomo che ne sa! Però va detto che la direttrice delle relazioni esterne della Ernst&Young ha il padre marocchino. Io lo scrivo solo ora, perché altrimenti si sarebbe cercata l'altra scorciatoia, quella dell'Islam repressiva e patriarcale, tutte pronto per rimandare il problema sempre da un'altra parte.

Non esiste una mappa del femminicidio nel nostro paese, ma da alcuni calcoli non è localizzato a Sud, ma ben distribuito in tutto il territorio italiano. Non basta poi che la sociologa Renate Siebert, allieva di Adorno, professoressa all'Unical, grande nome negli studi femminili, abbia dichiarato:

Una storia come questa potrebbe essere accaduta in qualsiasi altro posto d'Italia. Trovo assolutamente razzista e aberrante che si possa parlare, in questa vicenda, di specificita' calabrese…

Per come conosco la Calabria – aggiunge Renate Siebert – devo dedurre che chi sostiene queste tesi e' sostanzialmente razzista. Per questo non condivido che si possa parlare di specificita' calabrese

Renate Siebert

Non basta ancora. Come non è bastato il post di Loredana Lipperini sul negazionismo, Il Fact-Screwing dei negazionisti, che non ci hanno risparmiato il siparietto fra Cruciani e Becchi in una puntata della Zanzara in cui c'era la frase: fra un po' se guardi un culo è femminicidio! Il link ve lo risparmio, perché è una boutade, anzi una stronzata.

Spero basti, ma ho i miei dubbi, il bellissimo articolo di Adriano Sofri oggi su Repubblica, un analisi lucida e piena di passione, in cui si sottopone anche i corpi delle prostitute straniere uccise,mutilate e bruciate. Ci dobbiamo guardare allo specchio anche in questo caso. Fate caso che in queste occasioni i titoli sono nigeriana, albanese, moldava, prostituta, ecc. Poche volte si dice donna. Qui c'è un problema di linguaggio, problema forte e per fermare la violenza sulle donne bisogna ricominciare dalle cose quotidiane, proprio dalla lingua, e dalla rappresentazione che anche noi maschi diamo del mondo femminile.

Ho già parlato del caso di Fabiana Luzzi qui su Orson, La Calabra Fenice, era un link che radunava due post che tentavano di vedere altri orizzonti della vicenda. Ho scelto questo titolo perché così si chiama una bella iniziativa della Efferre Communication, piccola agenzia di comunicazione calabrese dell'amico Francesco Rende: #cittacatusifemmina. Ho chiesto ad amiche, conoscenti, giovani e meno, che hanno deciso di metterci la faccia. Sono tutte calabresi. Una piccola che testimonia come questa regione non è l'inferno delle donne, ma non nega che esiste il problema nel nostro paese. Se si farà una cosa del genere per gli uomini, beh io ci metto la faccia.