SQUID GAME: la Corea vince fra maiali e calamari

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C’è un grande maiale pieno di soldi che campeggia sospeso in aria. Non è un concerto dei Pink Floyd, anche se uno dei simboli più forti di SQUID GAME, la serie coreana trasmessa da Netflix che ha conquistato tutto il mondo, a mio avviso non solo è un tributo alla copertina di Animals, uno degli album più famosi di una delle rock band più importanti della storia musicale, ma ne condivide anche alcuni significati. Il successo di Squid Game, che ha sollevato anche fortissime polemiche – come sempre perché la memoria è di breve raggio e ci si rifugia dietro stereotipo moralisti – è straordinario anche solo per un fatto: non è doppiato. Non credo che i coreano-parlanti superino i 120 milioni nel mondo ed “i cinesi la capiscono!” perché basta vedere la grafia degli ideogrammi per notare le differenze profonde. Eppure, tutto il mondo è incantato ed attratto dalla Corea. Parasite ha vinto l’Oscar 2020, il K-pop incanta miliardi di giovanissimi, senza contare quanto la moda e lo street style coreano si stiano diffondendo. Chi pensa ancora che le mode ed i consumi siano dettati dagli USA è figlio della superata e vecchia “modernità” e non vuole vedere che l’Asia è il continente più popoloso del mondo con una componente giovanile molto alta. Un continente che va da Bollywood alle arti marziali, dai manga ed anime alle scarpe del cittadino della Malaysia Jimmy Choo, un brand che chi ha visto almeno una puntata di Sex and The City conosce.

 

Squid Game è un altro sintomo del mondo che cambia

squid gameTorniamo al Game. La storia è apparentemente semplice: un gruppo di 456 persone viene “reclutato” volontariamente per partecipare a un gioco per vincere un montepremi di 45,6 milioni di euro. Si tratta di persone provenienti da qualsiasi classe, strato sociale, istruzione e moralità. Hanno tutti una cosa che li accomuna: problemi di soldi. Ha il sapore dei reality sulla sopravvivenza che vediamo negli ultimi 20 anni. Durante il primo gioco, la prima prova – tutti i giochi proposti sono una versione rivisitata di quelli dell’infanzia – “Un, due, tre stella” si scopre che chi perde viene eliminato. Ucciso. Si può abbandonare il gioco? Si. Ma chi lascia poi fa di tutto per rientrare in “gioco”. Si può interrompere il gioco? Si, se e solo se tutti i 456 giocatori sono d’accordo. Comincia così il susseguirsi di sei giochi con innumerevoli morti, una stanza dove dormire in condivisione e fare vita e, soprattutto, sopravvivenza comune, con tutto quello che può succedere, dal sesso alla violenza, dall’amicizia, all’odio. I “giocatori” cercano di arrivare al gran finale dove si giocherà lo Squid Game, il gioco del calamaro dove resteranno solamente due giocatori. Chi arriva in finale? Il numero 456, il protagonista della serie, ed il suo amico – ex amico d’infanzia. Non posso andare avanti perché altrimenti ho paura che una banda di coreani venga a prelevarmi di sera per farmi giocare ad “Un, due, tre, stella” con l’accusa di spoiler. E non crediate che quello che vi ho detto è parecchio, perché per arrivare al finale, per certi versi scioccante, ci vuole ancora parecchio! Squid Game è quindi un gioco mortale che fa riflettere molto sul valore dei soldi, sull’importanza che diamo al denaro a discapito della stessa vita. Questa è l’interpretazione principale ma superficiale della serie. C’è molto di più. Applausi ad una costruzione narrativa davvero ben fatta – pensate con un ricorso alle simbologie meraviglioso nell’accuratezza –accompagnata da una fotografia dove colori pastello pop si alternano al rosso del sangue umano. Una scenografia e dei costumi che ricordano i parchi giochi e le squadre sportive, oltre che gli “ordini” misteriosi e segreti, elementi che piacciono moltissimo al pubblico. Per Halloween sono andate a ruba le maschere e le tute di Squid Game. Reperibili anche nel nostro paese. Non crediamoci immuni a queste cose, siamo il paese dei Maneskin che suonano coi Rolling Stones e non solo quello dei neomelodici!

Non solo critica al capitalismo, ma fine dell’Antropocene

Sicuramente c’è una critica al sistema del tardo-capitalismo, ma io intravedo il ritratto della fine dell’Antropocene (età dell’uomo), non al livello geologico ma culturale. Una fine che viene descritta nell’ultimo grande libro di Donna Haraway – Chthulucene: sopravvivere su un pianeta infetto – una delle pensatrici più immaginifiche ed importanti degli ultimi 25 anni. Un’antropologa che sa coniugare femminismo e fantascienza con ottica “trasversale” e non semplicemente “multidisciplinare”.  Vedo un passo in più in un percorso che ha come step precedente il film premio Oscar Nomadland di Chloé Zhao, che oggi è alla regia del blockbuster The Eternals. Viviamo un’epoca dove le realtà, il plurale non è a caso, sono composte da ogni universo biologico e da tutti gli universi simbolici ad essi connessi! Pensiamo al maiale. Roger Waters lo usò in riferimento alla distopia orwelliana de La Fattoria degli Animali, lo usò come simbolo delle proteste contro l’establishment politico al mondo distopico sopracitato, persino agli omicidi di Charles Manson! Però il maiale è l’incarnazione stessa del recupero di ogni cosa, del “non si butta via nulla”. Vedete quanto c’è in un solo simbolo basato sulla biologia di un animale! Riguardo le critiche sulla violenza condivido le parole di Gianluca Nicoletti su La Stampa: “perché non ci sono state le stesse polemiche alla saga di Hunger Games, ultra-famosa in tutto il mondo?” E quanta violenza c’è nelle fiabe degli Andersen e della nostra infanzia? Siamo il terzo paese consumatore di cocaina in tutto il mondo ed il primo in Europa. Anestetizzare i bambini non aiuta nessuno. L’educazione è molto altro.

Il gioco è un universo in espansione

“Maturità dell’uomo significa avere ritrovato la serietà che si metteva nel gioco da bambini.” Totalmente d’accordo con Nietzsche. Il gioco è una questione che riguarda la vita, non solo grandi e piccoli, ma ogni singolo essere vivente. Spesso viene intesa la vita stessa. Squid Game parla del gioco come metafora, iperbole, mette insieme moli elementi che ricorrono sempre negli universi narrativi dell’uomo. Il gioco è un insieme di universi di linguaggi che è sempre in espansione Perché non smettiamo mai di giocare anche se crediamo di si. Bruno Munari uno dei più grandi grafici e designer del ventesimo secolo ha scritto un passo significativo: “C’è sempre qualche vecchia signora che affronta i bambini facendo delle smorfie da far paura e dicendo delle stupidaggini con un linguaggio informale pieno di ciccì e di coccò e di piciupaciù. Di solito i bambini guardano con molta severità queste persone che sono invecchiate invano; non capiscono cosa vogliono e tornano ai loro giochi, giochi semplici e molto seri.”

squid gameKorea a go-go

Se vi interessa esplorare qualche titolo del mondo seriale coreano Netflix ha ottime proposte diverse fra loro per genere e trama. Primo titolo NAVILLERA. Lee Chae-rok un giovane ragazzo ex calciatore che inizia a dilettarsi nel mondo del balletto. Il giovane si troverà a scontrarsi con varie difficoltà, che lo porteranno quasi ad abbandonare il suo sogno. Arriva una nuova sfida: insegnare il ballo ad un signore anziano affetto da Alzheimer che desidera con tutte le sue forze imparare il Lago dei cigni. ALICE IN BORDERLAND racconta di Arisu che si ritrova insieme ai suoi migliori amici in una Tokyo desolata. I tre capiscono presto di essere intrappolati all’interno della città e costretti a prendere parte a dei giochi per poter sopravvivere. MR. SUNSHINE e CRASH LANDING ON YOU sono due drammi che sanno mescolare bene narrazioni e sentimenti.