Scrittura collettiva: passato o futuro?

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Recentemente ho realizzato una lunga recensione sul nuovo libro di Lou Palanca, Ti Ho vista che ridevi, per il Quotidiano del Sud e mi sono ritrovato di fronte al fenomeno della scrittura collettiva. Se parliamo di gruppi come Wu Ming e i calabresi Lou Palanca siamo di fronte a romanzi di ottima fattura, al di là dell’argomento stesso, però bisognerà riflettere sul futuro dell'”editoria digitale”, come spesso viene indicata la scrittura collettiva. C’è chi addirittura ne ha fatto un metodo. Ma è davvero il futuro? O il passato? Banalmente direi che è il presente.
Anche Omero pare fosse un collettivo, visto che alcuni studiosi dicono che si trattava di tradizioni aediche che poi sono state raccolte. Si è detto anche di Shakespeare, ma sul bardo inglese le ipotesi sono talmente tante e disparate che davvero non si sa dove sia la verità. Esiste un metodo che si chiama SIC – Scrittura Industriale Collettiva ideato da Vanni Santoni e Gregorio Magini, l’idea di creare un grande romanzo aperto, forse parafrasando l’idea dell’Opera Aperta di Umberto Eco, anche se quella riguardava di più l’interazione fra autore e lettore/fruitore. A me la parola autore non piace, il mito è affascinante, ma chi “campa” di scrittura, o chi ci prova, sa che non l’idea dell’artista che aspetta l’ispirazione e si strugge durante la notte, mentre di giorno vaga come un flaneur baudelairiana è una grande balla del marketing – anche all’epoca dei decadenti esisteva. Io faccio lo sceneggiatore, anche di serialità e per esperienza personale per me la scrittura è collettiva. Anche un romanziere o un saggista si trovano a confrontarsi con un editor, che magari non metterà una riga, ma altrettanto potrebbe rivoluzionarvi l’intera storia, come è successo con Raymond Carver ad esempio. Il confronto nella scrittura è fondamentale e necessario.

Certo oggi, specialmente e sempre di più in Europa, non si vendono libri, si vendono scrittori, questo dovrebbe far capire qual è lo stato dell’industria culturale nel nostro continente. Quando alcuni anni fa uscì Nicolai Lilin con Educazione Siberiana, si disse che era un buon libro, forse anche troppo, ma venne fuori che lui era stato davvero nelle prigione russe e stesse scrivendo una sorta di autobiografia. Pare che questa cosa non sia del tutto vera, non posso dirlo con sicurezza, ma che sia una strategia di marketing ben architettata. Lo stesso per la ragazza che scrisse di essere cresciuta coi lupi che alla fine ritratto tutta la questione sulla sua infanzia. Adesso c’è il fatto di voler far scrivere dei libri a pezzi di social network, francamente non so quanto possa funzionare, perché per scrivere in maniera collettiva serve qualcosa in più del numero e di buone idee. Serve tecnica, necessaria anche quando si è da soli, serve anche un carattere collaborativo, uno che pretende di avere sempre ragione non può lontanamente pensare di mettersi a scrivere con altri, anche perché ci saranno scontri, se non veri e proprio litigi. Bisogna accettare i commenti negativi, ma anche essere pronti a difendere le proprie scelte e a ritornarci su, perché non si lavora “a maggioranza”. Se una scelta, alla fine delle birre, dei caffè, delle sessioni Skype, non riesce a convincere tutti quanti non c’è una votazione a maggioranza, proprio no. Si fa un passo indietro e si guarda la situazione cercando un’altra angolazione per trovare un’alternativa credibile e sostenibile. Purtroppo questa è una pratica che sta diventando difficile in Occidente, siamo bombardati da talmente tanti punti di vista differenti che molti non esercitano più l’analisi personale dei fatti e delle possibilità. C’è la necessità di una divisione del lavoro, che sia nella scelta di capitoli o parti o di personaggi, sicuramente in un gruppo ognuno sa fare qualcosa di diverso. Il rischio è che poi uno faccia tutto e gli altri poco. Eppure a volte quel poco è quello che serve. Ennio Flaiano,spesso citato ma poco conosciuto, è stato anche un ottimo sceneggiatore. Dopo la prima fase della sua carriera però Flaiano lavorava in gruppo e magari non scriveva mai una riga, ma sapeva suggerire sempre la soluzione migliore ad un problema. In fondo la scrittura è proprio questo: trovare soluzione a un problema, in modo che il lettore resti lì appeso, incollato per arrivare al passo successivo. Alla fine per scrivere, anzi per produrre scrittura, non basta saper scrivere bene, anche se non guasta.