Rocco Schiavone: il giallo italiano che piace

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Un impegno è un impegno. Di che grado o livello dipende dalla persona che lo prende. Con voi lettori lo avevo preso qualche settimana e per me è una questione che oscilla fra il settimo e ottavo livello. Come avrete capito oggi parliamo di Rocco Schiavone, della terza stagione, del vicequestore della polizia dall’anima e dalle radici capitoline che lavora nell’estremo nord di Aosta. Perché lo faccio?

Perchè Rocco

C’è chi potrebbe dire che lo faccio per campanilismo visto che anche io ho radici romane – mio nonno era trasteverino, suo nonno anche e pare andando a ritroso di qualche altra generazione – oppure perché ho un debole per Marco Giallini, l’unico attore nel panorama italiano che poteva interpretarlo. Lo fai allora perché Antonio Manzini, la penna che ha creato la serie di libri che vedono protagonista il nostro poliziotto è romano anche lui. “None!” vi risponderebbero a Piazza San Cosimato, uno dei posti storici di Trastevere. Lo faccio perché parliamo di una serie tv convincente, che ha saputo conquistare sempre più pubblico, lavorando sulla scrittura, sugli attori e su tutti gli aspetti artistici e tecnici come si dovrebbe fare. Rocco Schiavone è di successo perché è ben fatta, come Imma Tataranni, Coliandro, tutti italiani, da una parte all’altra del nostro paese, e che riescono a mescolare il racconto di un buon giallo con quello di come siamo noi. La cosa buona è che non viviamo di solo Montalbano, che è stato l’iniziatore di questo movimento, ma che purtroppo, vista la triste scomparsa del suo splendido creatore Camilleri, non potrà più avere un prosieguo originale.

Rocco Story

Cerchiamo di ricapitolare le vicende del nostro “amico” Rocco: nasce e cresce a Roma, ma già da ragazzo perde entrambi i genitori. I suoi amici più cari diventano criminali, lui, pur senza avere una reale vocazione, di laurea in giurisprudenza ed entra in polizia. Sposa Marina, la donna a cui rimarrà fedele per tutta la durata del matrimonio, che si interrompe in maniera feroce, quando due proiettili, diretti a lui, colpiscono a morte lei in un agguato. Tutto questo succede sei anni prima di “Pista Nera”, il primo dei romanzi che Antonio Manzini ha scritto con protagonista Rocco Schiavone. Viene trasferito ad Aosta per motivi disciplinari, ma la cosa non lo disturba affatto alla fine. Inseparabili sono il loden verde e le clark ai piedi che visto il clima spesso innevato sono sempre bagnate a causa della neve. Rocco intrattiene delle relazioni occasionali, ma nessuno riesce a prendere il posto di Marina, ogni tanto parla col suo spirito che nella serie ha il bellissimo volto di Isabella Ragonese. La sua unica vera e fedele compagna è una simpaticissima cagnetta meticcia, sembra un incrocio fra un barboncino ed un fox terrier, che si chiama Lupa e che lo segue sempre. Rocco ha una sua piccola “corte dei miracoli” fatta dai suoi collaboratori più stretti, dal suo secondo Italo, all’abruzzese D’Intino, al medico legale, a Michela che si occupa della polizia scientifica, tutti personaggi che la serie tv è riuscita a rendere davvero bene nelle caratterizzazioni e che sono uno degli aspetti vincenti e più belli dei romanzi di Manzini. Rocco è un burbero, un deluso dalla vita, uno che classifica le vicende in una scala da uno a dieci come fossero rotture di scatole – e siamo stati buoni nel dire così. Eppure, lo sappiamo che è un buono, uno di quelli la cui morale è che puoi rubare agli spacciatori ma non ai “tossici”, uno che si schiera dalla parte dei più deboli, tratto che ne arricchisce sempre il fascino, soprattutto verso l’altro sesso. “Rocco mi somiglia moltissimo, è forse il personaggio che più sento vicino tra tutti quelli che ho fatto, e tornare a interpretarlo mi viene naturale. Tra me e lui ci sono molti punti in comune, mi guardo allo specchio e io sono quello lì. È uno duro, uno che non ha paura”. Marco Giallini lo descrive così e gli chiedono perché nel guardarlo muoversi sullo schermo sembra proprio che non reciti neppure, merito anche sicuramente dell’ottima sceneggiatura e della regia che si muove bene nei sentieri innevati e nello scenario della Val d’Aosta.

La terza stagione

La terza stagione si concentra e si chiude su un caso molto complesso che riguarda il mondo del gioco d’azzardo e dell’usura, un mondo che Schiavone conosce perché frequentato dai suoi amici storici che ogni riappaiono. A ben guardarlo il mondo per il nostro poliziotto sembra diviso nella manzoniana dicotomia fra Oppressi ed Oppressori e lui non un giustiziere senza macchia e senza paura, piuttosto una sorta di cavaliere che può portare un po’ di giustizia e consolazione. A quelli che troppo spesso subiscono o hanno subito i torti della vita, proprio come lui. Tutto questo funziona dopo tre stagioni funziona ancora e soprattutto funziona bene, tanto che il suo pubblico rimane costante e cresce nonostante sia spesso messo in serate con una fortissima concorrenza, ma lui non sembra averne paura e risentirne. Sarebbe facile dire Hasta la victoria Rocco, ma viste le origini romane quello non posso che dirgli “Bella pe’ te!”

Il giallo italiano

Tutta la nuova grande ondata del giallo italiano sembra davvero poter raccontare l’Italia in maniera geografica e dettagliata. Abbiamo già detto della Sicilia di Montalbano, ma non c’è solo quello. Schiavone è un romano che racconta il nord, ma l’anima della capitale italiana trova grande espressione in Giancarlo De Cataldo nelle sue narrazioni criminali, da Romanzo Criminale fino a Suburra. Il Coliandro di Carlo Lucarelli è un giullare che comunque oltre a divertire esprime tutte le contraddizioni fra le varie mitologie del poliziesco nostrano con quello a stelle strisce. Napoli oggi ha un giallista di grandissima qualità letteraria come Maurizio De Giovanni, che in tv ha portato I Bastardi di Pizzofalcone e nel mondo dei fumetti la trasposizione del Commissario Ricciardi, per me uno dei più cicli narrativi degli ultimi vent’anni. Al club si è unita da poco la lucana Imma Tataranni di cui abbiamo parlato e magari speriamo che ci sia accorga che anche la Sardegna ha qualcosa da dire in fatto di gialli con le storie di Martino Crissanti scritte da Flavio Soriga.

 

Questo articolo è stato pubblicato il 18 Ottobre sul Quotidiano del Sud