RACCONTO: Le sedie

Spread the love

L’aria era immobile tipica delle stanze d’attesa degli ospedali nei mesi in cui gli impianti di condizionamento non funzionano. Era seduto da solo con in mano la sua cartellina e lo sguardo perso su un muro con sopra dei manifesti che raccomandavano la vaccinazione per la prossima epidemia di influenza. Anziani e bambini. Però non solo loro. Non si sarebbe mai immaginato che sarebbe rientrato nella categoria a cui era raccomandato la vaccinazione anti-influenzale. E non per età.

 

Un’infermiera con una voce squillante chiamò il nome di un altro paziente per la prossima sessione di terapia. Si tirò su dalla sedia e si grattò la testa dopo aver alzato la mano come se fosse uno scolaro delle elementari. Chissà quanti anni avrà avuto. Difficile da dire quando sei in ospedale. Le persone già sono delle chimere ambulanti per le persone comuni, degli enormi punti interrogativi che se ne vanno in giro su due gambe. I malati lo sono ancora di più.
Lui era sempre stato un grande amante di personaggi come Sherlock Holmes e Dr. House, quelli che avevano fatto dell’attenzione il loro metodo. Anche lui credeva che l’attenzione fosse la cosa più importante. I dettagli erano una sorta di malattia per lui. Prima ancora che la malattia lo invadesse. Quel posto era come una zattera in mezzo ad un gorgo di correnti, al centro di un crocevia di corridoi dove le infermiere dei vari reparti chiamavano i pazienti che dovevano fare visite specialistiche o terapie.
La ragazza dai capelli neri come la notte si sedette accanto a lui rivolgendogli un tiepido sorriso di cortesia. Lui ricambio spostandosi leggermente per farla stare più comoda. Aveva gli occhi rivolti verso il basso, come se cercasse la giustificazione per il suo essere lì.

-Bisogna rassegnarsi.- disse lui continuando a guardare il manifesto sul muro.
-Cosa?- disse lei in modo squillante come risvegliata da un sonno ipnotico.
-Le sedie. Le sedie degli ospedali sono sempre scomode

-Già.- disse lei annuendo e mostrando un lieve sorriso. Stavolta più convinto.
-Sembra quasi che le facciano così per impedire che uno si addormenti nonostante le lunghe attese.

-E’ un po’ difficile.- gli rispose a quella battuta.

-Visita di controllo?- le chiese guardando la cartellina con sopra la dicitura di uno specialista in disordini nutrizionali e disturbi tiroidei.
-Una delle tante.-
Il viso si era fatto più dolce come le curve del suo corpo che sembravano ora rilassarsi accanto al suo.

-Anche mia moglie ne ha sofferto.

-E’ sposato?

-Si, solo che il paziente sono io oggi. Ci diamo il cambio, non sia mai che qualcuno si abitui qui!- disse lui forzando la risata per quella battuta. Lei educatamente sorrise.
-Mi scusi. Questa era davvero pessima!
Stavolta il sorriso della ragazza fu più sincero e spontaneo.
-Una volta mi venivano meglio, ma credo che sia colpa delle sedie.

-Che c’entrano le sedie?
-Non le sembra che siano scomode come degli strumenti di tortura medievale?!? Insomma se uno vuole ridere e rilassarsi vuole stare comodo, magari come fosse un antico romano con una coppa di vino in una mano e da mangiare nell’altra!
Accompagno le parole come fosse in un’antica stazione termale di epoca imperiale. Stavolta oltre a vederne il sorriso sentì anche il suono della risata di quella risata. Era bello, profondo e s’intonava ai capelli neri come la notte.
-Invece qui sembra di essere in una stanza di tortura della santa inquisizione, pronti a confessare tutti i peccati commessi ed anche quelli non commessi. “Si, sono stato io, l’ho fatto io!”
Anche un altro paio di persone stavolta risero. L’atmosfera si era fatta più rilassata adesso, mentre un alto paio di infermiere erano venuti a prendere altri pazienti.
-Crede che dovrebbero essere più comode?- gli chiese lei.
Lui l’ascoltò e poi si girò verso di lei.
-Forse. Le attese sono lunghe. A volte ci sfiniscono. Un po’ di comodità non guasterebbe. Però credo che lo facciamo per cercare la verità.
Lei aggrottò le sopracciglia e la fronte mostrando delle pieghe.
-Chi viene qui ha un motivo preciso, ben preciso e quello che cerca è la verità. Ognuno di noi qui ha la sua storia, fatti di tanti momenti, belli e brutti. Quando però siamo su queste sedie la nostra vita si ferma. Siamo in attesa. Aspettiamo la verità. Non vogliamo illusioni. Vogliamo solo la verità. Per quanto crudele possa essere.
Si guardarono. C’era qualcosa di lontano negli occhi di quell’uomo e del suo corpo magro. Non sarebbe riuscita a dire che età avesse, eppure quelle parole sembravano venire da un luogo antico e sincero.
-Marco Bonanno?

L’uomo alzò la mano rispondendo all’infermiere che era arrivata dal corridoio.
-E’ il mio turno!- le disse sorridendo. Lei sembrava dispiaciuta nel vederlo andare via in quella maniera, come se quella conversazione fosse stata interrotta spezzata. Lui si appoggiò al muro per tirarsi su.
-Magari ci rivedremo per finire la conversazione. – gli chiese.

Lui la guardò e sul viso avevo un sorriso triste.

-Chissà. E’ possibile. Ma per lei mi auguro di no. Buona giornata.
Lui seguì l’infermiera che lo precedeva. La ragazza sembrò avere sul viso un’espressione incredula per quelle parole. Poi vide l’uomo e l’infermiera stavano percorrendo il corridoio per il reparto di Oncologia e Radioterapia dei pazienti terminali.

 

Avvertenza e Modalità d’Uso: Quest’estate mi è stato chiesto di scrivere alcuni racconti per il Quotidiano del Sud, il giornale con cui collaboro da molto tempo.
Mi hanno dato solo un limite di battute. 
Mi sono messo al computer e ho scritto. E’ stato come se fosse automatico. 
Come se lo facessi da sempre. 
Ho deciso di postarli qui e quando me la sentirò di scriverne altri. Sempre brevi.
Li metto qui perché mi piace condividerli.
Li scrivo perché credo che sia lo cosa che so fare meglio.
Alcuni dicono che sono anche bravo. Vorrei esserlo di più. Però facciamo un passo alla volta. Magari se lasciate un commento mi fate felice. 
Grazie