Pino Insegno, la sua vita e il suo progetto contro la SLA

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Anche solo immaginare il tuo modo di parlare mi calma. E mi rende felice. Mi scorre nel corpo come una medicina, facendoti gorgogliare dentro di me. Non smettere. Non smettere mai.” Fra le tante frasi che hanno come oggetto la voce è questa dello scrittore israeliano David Grossman, autore di bestseller mondiali come “Qualcuno con cui correre” o “La simmetria dei desideri”, quella che più mi è rimasta “addosso” quando ho saputo che avrei avuto l’occasione di una conversazione con Pino Insegno, una delle voci più famose dello spettacolo italiano, come attore, doppiatore e conduttore, ma anche per un bellissimo progetto che riguarda la voce e la SLA, la Sclerosi Laterale Amiotrofica, conosciuta anche come “morbo di Lou Gehrig”, una malattia neurodegenerativa progressiva che colpisce i motoneuroni, cioè le cellule nervose cerebrali e del midollo spinale che permettono i movimenti della muscolatura volontaria. L’occasione di parlare con Insegno me la dà la tappa che farà il 16 febbraio al Teatro Metropol di Corigliano-Rossano con lo spettacolo “La vita non è un film” che fa parte della rassegna “L’Altro Teatro” e del Cartellone “Il Teatro si fa tre” promosso dall’amministrazione comunale della città di Corigliano-Rossano.

“La vita non è un film” non è una frase che uno si aspetta da un attore del tuo calibro. Come nasce questo spettacolo?

Nasce da un libro che ho scritto con  Michele Briccone, un bravissimo scrittore sardo ed è uscito già da un anno per Giunti e Bompiani, che avevano pensato di farmi raccontare di me, visto la mia vita abbastanza articolata,. Abbiamo scritto questo libro in nove mesi, siamo partiti dalla mia infanzia a Monteverde fino ad oggi e abbiamo capito che c’era molto da dire e non era una biografia autocelebrativa, assolutamente no. Io parlo di me ma, chi mi conosce sa che sono molto lontano dall’autocelebrarmi. Mentre ci lavoravo ho sentito che tutto questo poteva essere spettacolarizzato, portato su un palco, ma non come un one man show con le ballerine. Ho voluto affrontare qualcosa di molto più teatrale che il classico registro dello stand up comedian.

Quindi non si tratta di un adattamento classico. Come è stato allora “trasportarlo”?

Ho lavorato sull’intensità e del materiale del libro c’è un terzo. Ho voluto sfondare la quarta parete sul palco, così ci sono i video di quando facevo l’animatore nei villaggi, le telefonate, io che parlo con la gente poi, quindi il contatto diretto. La gente, il pubblico, diventa parte del racconto.

Com’è per un professionista come te, abituato ai set, anche con il doppiaggio, passare da una vita più stanziale ad una più girovaga e zingara com’è quella del teatro?

C’è grande differenza ed è totale. Il teatro è un contatto umano, empatico, maieutico con la gente e tutto il mondo. Li hai di fronte, non  importa quanti sono, hai tutto il mondo, valuti veramente quanto vali, sei nudo. Su un libro, sei abbastanza protetto, se lo scrivi bene. Ovviamente il cinema, la televisione, sei protetto, la possibilità di rifarla o di riscriverla. La differenza è questa e asfissiate dal punto di vista proprio empatico e totale da passare da un libro a un film è sempre difficile. Oggi hai la possibilità anche di legare queste cose però. Nel libro c’è un QR code che tramite lo smartphone ti fa accedere alla mia voce che legge il libro, una joint venture fra emons audiolibri e Bompiani che mi è piaciuta e mi ha convinto subito. Sono stato felice anche perché oggi gli audiolibri hanno una grande diffusione, ma c’è bisogno di un attore per leggerli, c’è bisogno di professionisti che sappiamo trasporre le parole in audio. Questione di rispetto per il testo e l’ascoltatore.

Un attore è spesso considerato un corpo. Tu sei considerato più una voce spesso, anche se poi lavori col tuo corpo come i tuoi colleghi. Tu da doppiatore come vivi questa differenza?
Beh, sai in questo caso quello che dico a certi miei colleghi che fanno solo doppiaggio, è che dimenticarsi di essere attori e perdere completamente  la propria fisicità quando doppiano si sente, il pubblico lo sente. Corpo e voce devono camminare insieme, la voce è sicuramente la forza, ma se non ci metti la fisicità all’interno di quella voce rischi di dare soltanto delle intenzioni, dei colori che non sono tridimensionali. Per cui quando si tratta di doppiare, io lo faccio in maniera diversa. Ad ogni attore che doppio  la mia voce non è mai la stessa. Anche gli stessi attori come Viggo Mortensen, ha una voce ne Il Signore degli Anelli, ma è piena di altre sfumature in Green Book. Poi se vado su  Sasha Baron Cohen  lo caratterizza in tutt’altra maniera, così come Jamie  Foxx su Django.. Io metto il mio essere corpo e voce all’interno del mondo del doppiaggio. Devono camminare paralleli, assolutamente.

Ho letto del tuo progetto che stai portando avanti per la SLA, praticamente la possibilità di dare una voce a chi a causa di questa malattia non riesce più a parlare. So che è una tua iniziativa che sta riscuotendo attenzioni da tutto il mondo.

Proprio così. Voice for Purpose”, la piattaforma di tecnologia digitale che vede il coinvolgimento di Università Campus Bio-Medico di Roma, Centri Clinici NeMO, Nemo Lab, Translated, Dream On e Aisla. Io mi sento una sorta di Steve Jobs di questa cosa e ho insistito per anni perché si potesse arrivare a questo punto, a poter ridare voce, che vuole ridare dignità, ridargli le sue sfumature, la capacità di trasmetterle insieme ai colori e a tutti i suoi mondi. Sono davvero fiero poi che chiunque potrà donare la propria voce per il progetto.

Non ti nascondo che sono commosso da questa cosa e contento che tu sarai in Calabria col tuo spettacolo.
Beh, è come essere a casa, visto che la famiglia di mio padre viene da Reggio, quindi io sono calabrese!

L’ultima domanda. Davvero per te la vita non è un film?
La vita è un film ma non ci sono dissolvenze, non puoi rigirare le scene se sbagli, si vive tutto in presa diretta. E dipende da te come li vivi.