Peaky Blinders: L’ultima cavalcata di Tommy Shelby

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DOPO SEI STAGIONI THOMAS SHELBY SU NETLIX ARRIVA ALLA CONCLUSIONE

Si dice che tutte le cose belle hanno una conclusione. Già. E’ vero. A volte purtroppo, a volte per fortuna. Stavolta è un “purtroppo” quello che accompagna l’epilogo di Tommy Shelby e dei suoi Peaky Blinders arrivati alla sesta stagione su Netflix, che dopo un periodo di appannamento sta rialzando la testa, visto l’ottimo comportamento di serie come Anatomia di uno Scandalo, Blindspot ed il successo oltre ogni previsione di Stranger Things 4. Oltre ogni previsione non per la qualità ma perché è stata la serie con l’esordio più visto di tutti i prodotti trasmessi sulla piattaforma di streaming con la grande N rossa. Piccola Nota perché mi è stato rimproverato: non mi sono dimenticato delle avventure di Undi e soci. Ho aspettato. Cosa? Il primo luglio! Io parlerò di Stranger Things 4 il giorno in cui Netflix manderà la prima delle ultime due puntate del finale di stagione – quando si dice il “senso del timing”.


peaky bindersTorniamo ora a Shelby e soci, serie a cui sono particolarmente affezionato perché l’ho dovuta vedere in maniera semi-clandestina per non turbare gli “equilibri familiari”, miei e dei Peaky, forse anche per questo il legame emotivo e affettivo si è saldato di più. Sono passati nove anni da quando abbiamo visto per la prima volta Thomas Shelby attraversare i vicoli operai di una Birmingham devastata dal seguito del primo conflitto mondiale sopra un cavallo nero, un incipit di una grandissima potenza, aumentata a dismisura dalle note enigmatiche di Red Right Hand di Nick Cave – brano che l’icona del dark-rock mondiale ha eseguito nella scaletta al MediMax di Taranto (si, c’ero). Così si apriva la saga della famiglia Shelby, fra omicidi, tradimenti, attentati, profezie, amori, sigarette e gin.
Tommy (sempre ben interpretato da Cillian Murphy) è esattamente dove l’avevamo lasciato tre anni fa, nella quinta stagione, in quel campo fitto di nebbia dove sembrava sul punto di uccidersi. Non lo farà, ovviamente. Non c’era dubbio, ma il mondo attorno a lui è pronto a modificarsi drasticamente. L’ultimo, spregiudicato, tentativo di eliminare Oswlad Mosley gli si è drammaticamente ritorto contro. La famiglia Shelby subisce perdite devastanti e lui rimane solo, ancora una volta a brancolare nel buio. Ci vogliono ben quattro anni per leccarsi le ferite e rimettersi all’opera più lucido e spietato che mai. Tommy Shelby pensa sempre più in grande e anche se siamo ormai nel 1933, la concezione del mondo dei Peaky Blinders rimane sempre la stessa. Perché c’è una cosa che abbiamo imparato: Tommy Shelby riesce sempre a salvarsi. Si è salvato dalla guerra, dai tradimenti, da un assassinio e dai fascisti. Si è salvato da una vita che non sentiva propria, dal dolore insopportabile della perdita della donna che amava e da un tracollo finanziario che ha distrutto l’impero costruito a suon di complotti e pistole. Perché? Perché è un sopravvissuto. Dentro e fuori, indurito dal dolore e dal sangue versato, suo e degli altri. Adesso, siamo alla resa dei conti. E’ venuto il momento di vedere se l’ultimo stratagemma, l’ultimo disegno escogitato, riuscirà ad avere la meglio sul disegno che il destino e i suoi demoni hanno in serbo per lui. Tutto è cambiato dalla prima stagione, dalle corse dei cavalli, il livello della serie è cresciuto fino a raggiungere proporzioni straordinarie nel panorama seriale.  Steven Knight ha ben costruito un culto dell’anti-eroe, dove il punto centrale di ogni stagione è spingersi all’estremo, accelerare fino forzare il nuovo limite in cui la spietatezza degli Shelby avrebbe oltrepassato il confine. Essere i più crudeli per sopravvivere. Neanche stavolta poteva essere da meno. Era logico e consequenziale, non tanto per esigenze di trama, ma per quelle psicologiche del protagonista, dei suoi accoliti e dei suoi nemici. C’è, però, la capacità di mascherare tutto, di sembrare diverso da ciò che si è. E anche di crederci. Tommy Shelby può sembrare un santo se si trova contro un gruppo organizzato che vuole commettere un genocidio. Più politica, più giochi e sotterfugi e meno di quell’atmosfera gangster che ha sempre caratterizzato i Peaky Blinders sono ciò che attende chi inizia a guardare quest’ultima stagione. Questa stagione  è indubbiamente dedicata a Polly Gray come recita un cartello alla fine della premiere. Non sappiamo quanto la morte “improvvisa” e dolorosa di Helen McCrory, che combatteva da tempo con un cancro al seno, abbia intaccato non solo il lavoro di tutta la troupe ed il cast,  ma i piani per la sceneggiatura che aveva Steven Knight Da grande professionista qual è  ha saputo inserirla con grande tatto, rendendola un personaggio assente eppure presente in tutta la stagione, un personaggio chiave che muove le decisioni degli altri, in primis suo figlio Michael (Finn Cole) e suo  nipote Tommy, che da quel momento si dichiarano guerra aperta, come se già non lo avessero fatto. Si dimostra così quasi provvidenziale quella scena nel finale della quinta stagione, con una Polly evidentemente provata forse anche nella realtà dalle cure per il cancro, in cui diceva a Tommy: “Qualcuno di voi morirà, finirà così, ma non riesco a capire bene chi”.
Le ultime stagioni dei gangster drama hanno sempre un focus sul concetto di eredità, sul passaggio da padre a figlio, e di vendetta da figlio a padre. Una tematica che attraverserà anche il nostro Tommy, che ritroverà un pezzo dimenticato del suo passato. E’ il momento del sangue. Di chi, è la domanda. Dispiace davvero salutare una serie di questo livello, ma c’è la soddisfazione di un finale di grande livello che di un racconto epico dove si omaggia chi non c’è più. Si resta come alla fine di un concerto emozionante con il pubblico che in coro grida “One More”.

 

Gangester Story

I Gangster Drama sono tanti. Si tratta di un macro-genere dove all’interno ci sono tante differenze. In realtà sono storie di uomini che si misurano con la violenza, l’odio e soprattutto l’istinto di sopravvivere. E piacciono. La trilogia del Padrino di Coppola è fra i film più amati di tutti i tempi. Nella serialità non possiamo dimenticare il nostro Gomorra, dove Ciro l’Immortale e Genni Savastano hanno avuto grande successo bene oltre l’Italia. E che dire di Breaking Bad, dove un professor di liceo si ritrova a “cucinare” un nuovo tipo di metaftemine con un disadattato. Ce ne sono per tutti i gusti e non sono facili da scrivere. Costruire un villain, un cattivo, un antieroe che intrighi lo spettatore è sempre molto difficile. Per questo quando funziona conquista fino in fondo, anche sorprendendoci a fare il tifo per lui.