MAID: Il coraggio di essere una donna oggi

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Cosa fa più male? Un pugno nello stomaco oppure sul viso? “Che domanda sciocca” esclamerà qualcuno. Sicuri? Quando veniamo colpiti urliamo. Il grande maestro latino Seneca, però, ci ricorda una cosa importante: Lieve è il dolore che parla, il grande dolore è muto. Guardare Maid, la miniserie su Netflix, è qualcosa che lascia definitivamente senza parole e respiro. Ci fa sentire, soprattutto, coinvolti. Maid è l’adattamento originale del libro di memorie di Stephanie Land, “Maid: Hard Work, Low Pay and a Mother’s Will to Survive”, un’opera che facilmente può entrare nel cuore di moltissimi, traendo il massimo dal fervore della propria autrice e dalla forza delle tematiche trattate. A mio avviso, però, non tutti riusciranno a prendere le parti di Alex, la protagonista, anche se non lo diranno. Perché? Perché si tratta di noi e di come il patriarcato non sia solo qualcosa che riguarda femminicidio e lividi su corpi percossi. Di più. Il patriarcato è un modello di struttura sociale ed economica. Il patriarcato è un sistema che trova anche la connivenza di altre donne, è un modello di società che non aiuta con una rete di protezione sociale una donna in difficoltà o una persona in difficoltà. Perché il patriarcato non odia solo le donne, ma tutto ciò che è diverso

MAID: BELLA PERCHE’ SA FARE MOLTO MALE

Arrivato dal primo ottobre su Netflix ammetto che ho scoperto con ritardo Maid e che guardarlo non è stato facile. So che alcuni ne avranno fatto oggetto di binge watching. Io non riuscivo. Ogni episodio dovevo fermarmi, riprendere fiato e mi ritrovato con le mani sulla testa pensando alla protagonista. Ancora una volta Netflix ci ha stupito, davvero il 2021 è l’anno della N rossa. Vengono esplorati tanti argomenti pesanti, colpendo senza sosta gli occhi e il cuore di chi osserva. Sfruttando la sapiente penna di Molly Smith Metzler, già nota per aver sceneggiato serie come Orange is the new Black e Shameless, questa new entry arriva a inserirsi con prepotenza tra le grandi serie del catalogo, accomunando la storia di una giovane madre al viaggio di un’eroina moderna più vera che mai. In effetti, nella vita di Alex, interpretata da una Margaret Qualley da premio, c’è veramente poco da poter definire piacevole. Cresciuta in una situazione familiare controversa, questa madre poco più che venticinquenne decide di prendere con sé la figlia Maddy e di fuggire nel cuore della notte dopo aver subito l’ennesima angheria, l’ennesima minaccia del compagno Sean (Nick Robinson), giovane padre in evidente stato di ubriachezza. Portando con sé solo qualche vestito, la macchina e uno zaino, Alex e la bambina passeranno i giorni successivi lottando per sopravvivere tra strutture sociali, stazioni, sussidi e lavori sottopagati. Fronteggiando le difficoltà nell’accogliere lo scarso aiuto offertole e il rifiuto di accettare coscientemente la violenza subita, la giovane madre affronterà un lungo cammino pieno di insidie e sacrifici – da una parte per garantire un futuro a sua figlia, dall’altra per conoscere e rivalutare se stessa. L’elemento sociale, però, non è quello che ci sorprende qui. E’ un setting doloroso che non nasconde mai il vero focus della narrazione, che è il racconto dei rapporti umani e che a rende l’opera un puro, deciso e convincente spaccato del punto di vista femminile di fronte alle avversità della vita. A differenza di molte altre produzioni che cadono in difetti ed eccessi, l’umanità straripante con cui la miniserie tratta i propri personaggi lascia trasparire frammenti di una realtà disarmante che non possono lasciare indifferenti. L’epopea vissuta dalla protagonista in una fase delicata della sua vita, tra problemi e difficoltà mai abbastanza considerati nella moderna società statunitense, rappresenta senz’altro un ottimo spunto narrativo.
Maid è soprattutto un racconto di persone: tra fantasie e flashback, lo spettatore conoscerà meglio anche le personalità che hanno circondato Alex nell’arco della sua vita, dalla madre Paula (interpretata dalla vera madre di Margaret Qualley, Andie MacDowell) al compagno Sean. Proprio attraverso le interazioni della protagonista con questi personaggi, il racconto di sopravvivenza e di rivalsa diverrà opera sulla maternità e sulla prospettiva delle donne di fronte alle ombre dell’esistenza. Le paure di Maid diventano infatti terrori del quotidiano, con ogni piccola spesa o imprevisto   che può far traboccare il vaso fino a farlo cadere in mille pezzi. Viene sottolineato come la violenza non è assolutamente solo fisica, qualcosa che ancora è necessario sottolineare perché anche le autorità sembrano non capirlo. Se da un lato la vita ha posto la protagonista davanti a certe scelte, elevandola a simbolo di riscatto sociale contro un’America che non riesce a curare i propri disillusi, dall’altro sarà proprio quella triste sequela di eventi a esaltare ciò che Alex ha sempre avuto dentro di sé: l’essere donna, caparbiamente e tenacemente, rappresenta il più grande valore aggiunto per non cedere alla paura di perdersi. Maid, inoltre, si inserisce in quella nuova narrativa che ha trovato nel premio Oscar Nomadland un turning point importante. Siamo di fronte al fallimento del “Make America Great Again” di Trump. Una fotografia ombrosa contrasta con la luce che la giovane Alex riesce a mostrare. Una luce forte ed intensa fatta di un’ironia caustica che è come un appiglio di fronte al baratro della malinconia assoluta. È un’ironia che si fa ancora di salvezza, di spinta personale verso la riva di un limbo personale pronto ad aprirsi a paradiso. Perché ancora prima che povera, Alex è figlia, madre, ma soprattutto donna. Donna che nonostante tutto, si rialza sempre, a testa alta.

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DONNE SENZA PAURA DI ESSERLO

Una delle sceneggiatrici di Maid è anche autrice di Orange is the new black, la serie che ha influenzato moltissimo la scrittura dei personaggi femminili negli ultimi dieci anni. Ironia, comedy, sentimenti e dramma si alternano in un carcere femminile. Una serie che è diventata giustamente, un vero oggetto di culto. Abbiamo sempre parlato di The Handmaid’s Tale, titolo imperdibile, stavolta lo citiamo solamente, ma non possiamo tralasciare Unorthodox, dove una donna, cresciuta nella comunità ebraica ortodossa di New York, fugge da un matrimonio combinato per andare a Berlino a cercare una nuova vita. Anche una supereorina è una donna. WandaVision è stato il primo titolo della nuova fase del MCU e in uno strano viaggio psichedelico Elizabeth Olsen ci fa ripercorrere quarant’anni di come sono state viste le donne nel mediascape.