L’ultima distopia: crea da solo il tuo complotto

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Domenica alle 15 al Centro Studi Cappella Orsini di Roma si svolgerà un seminario dal titolo Seminario “Da Orwell a Facebook: il ruolo dell’autore tra distopia e realtà. Io ci sarò perché mi hanno invitato a parlare sull’argomento, a raccontare cosa rimane della figura dell’autore, inteso come intellettuale, nel mezzo della rivoluzione del web 2.0. Credo che attualmente gli autori e gli intellettuali siano dei prodotti, realizzati per vendere qualcosa, che sia un libro, un film, un festival o altro.

Ci sono dell’eccezioni, come sempre, ma nel panorama occidentale sono gli Stati Uniti che stanno fornendo degli intellettuali più sinceri, anche se nel XXI secolo è proprio difficile riuscire ad usare questo termine. L’autore che prima aveva una discendenza filologica e filosofica da autorità oggi è disseminato, disintegrato nelle pieghe del digitale, nelle cloud e fra gli hard disk dei surfer. C’è stato un momento, nel passaggio da un millennio all’altro, che è venuta fuori l’idea dell’intelligenza collettiva, pensiero seducente che sembrava portare al trionfo della democrazia. Questo però era il web, quello di una volta, che era davvero un ecosistema sterminato e in divenire. Poi si sono inventati, anzi hanno rispolverato il concetto di collaborazione e sono sorti sistemi di partecipazione che stanno coinvolgendo sempre più persone sul pianeta. La storia, soprattutto quella del pensiero scientifico, mostra come all’incremento della velocità delle comunicazione sia davvero corrisposta un’aumento delle scoperte scientifiche. Però cosa succede se lo scopo dell’interazione diventa l’intrattenimento, o meglio il consumo, al posto del progresso sociale?

Niente moralismi, però in qualche modo ci dobbiamo rendere conto che più siamo interconnessi più diventiamo trasparenti, quindi se lo chiediamo alle multinazionali dobbiamo sapere che anche noi lo siamo. Io personalmente non sono un fanatico dell’intelligenza collettiva, credo, come dice Jerome Lanier, di preferire una moltitudine di individui con le loro singolarità piùttosto che alla Saggezza della folla, titolo di un libro del 2005 di James Suroviewcki. In tutto questo si evince che la tecnologia stia diventando la nuova ideologia odierna, che dovrebbe aiutarci a comprendere la contemporaneità, soprattutto dopo la fine dello scontro fra le grandi ideologie storiche. Non condivido questa visione, perché più che ideologia la tecnologia sembra diventata una religio, in maniera laica e non tradizionale. Lo sviluppo delle tecnologie mobili, con l’overdose di app, sembra averci regalato una vita facile, relegandoci ad utenti passi della couch-tech, ovvero come attori di consumo dal divano, che è centro della nostra vita. Ci vuole un Orwell per descrivere tutto questo? Siamo pieni di Grandi Fratelli, se ce ne fosse uno sarebbe più facile. Allora ha vinto Huxley con il suo mondo nuovo basato sul loisir? Non del tutto, visto che tutti coltivano il desiderio di aumentare il loro loisir e quindi c’è bisogno di creare i desideri. Tutto questo ha un nome: complessità. Il mondo però non vuole sentirne parlare, anzi la tecnologia sta diventando il miglior agente nell’operazione di riduzionismo in corso. I social network sembrano isterici e passano dal chiedere maggiori risorse per chiedere una cosa opposta all’altra, a gridarlo continuamente. Normale che raccontare tutto questo sia difficile. Ecco perché siamo ritornati alle grandi narrazioni di base. Dai supereroi alla fiction storica.

Avete mai fatto caso ai claim di molte opere di finzione: Quando gli uomini erano uomini, Un eroe d’altri tempi, Quando il sangue scorreva, sono molti i racconti che viaggiano in questo senso, che riprendono il classico si stava meglio quando si stava peggio. Sono convinto che sia un modo per non affrontare le sfide della complessità e che il più grande di questi stratagemmi sia la Teoria del Complotto, dalle scie chimiche agli alieni, passando per i microchip e i protocolli dei sette savi di Sion. I social sono la più grande vetrina di complotti del mondo, sono il grande di sfogo di chi non si vuole arrendere alla complessità ed invoca non una soluzione, ma una spiegazione facile, anche se poi tanto facili non sono, anzi tutto il contrario. Ricordo all’indomani dell’11 settembre un video che mostrava come nella nuvola di polvere sollevatasi dal crollo di una delle torri si potesse “chiaramente” vedere il volto di Satana. Ce ne sono tantissimi e stanno diventando anche importanti. Potremmo tirarne fuori anche una nota per le ultime campagne elettorali, ma non è la sede giusta, magari più avanti. Quello che mi preme sottolineare è che la distopia, il luogo contrario all’utopia, al paradiso in terra, è un posto dove esistano il male e il bene separati, ognuno con una chiara ragion d’essere senza dover dibattere di risorse, sistemi e soluzioni. Tutto questo non fa che aumentare l’entropia, quel rumore di fondo che impedisce la chiarezza e la trasparenza. A dirla tutta il miglior complottista è quello che vede nella teoria del complotto l’unico vero grande complotto.
Tutti abbiamo diritto al nostro complotto, ad inventarlo e anche a fornire delle prove, poi sempre smontate, a sussidio.
Non so come potremmo uscirne, però più che di un nuovo Orwell credo che abbiamo bisogno di un nuovo rasoio di Occam.