Lidia Poët, la quinta dei Måneskin!

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lidia poetÈ arrivata ed è stato subito un successo social e non solo. D’altronde quando ho letto che NETFLIX stava per mandare in onda una serie dal titolo LA LEGGE DI LIDIA POËT io non ci volevo credere. Proprio Lidia Poët, la quinta dei Måneskin, la band italiana che sta dominando il mondo della musica mondiale. Ah, non è lei. Allora Lidia Poët la vera interprete di MERCOLEDI’, lo spin-off di successo degli Addams diretto da Tim Burton, scoprendo così che Jenny Ortega non esiste. Ah, non è neanche questa. E allora, come il 95%, degli italiani mi sono chiesto chi fosse Lidia Poët e la pagina Facebook dell’università di Torino mi è stata di grandissimo aiuto.

 


lidia poet“Non tutte le donne sono chiamate all’alto e nobilissimo ufficio di spose e madri. Ve ne sono non poche che, o per naturale inclinazione o per concorso vario di circostanze, non dovranno praticare questi doveri (…) E se queste vi domandano di impiegare parte delle loro doti intellettuali e morali per la patria, le respingerete voi dicendo che la patria non conosce per donna se non colei che le dà figli forti e buoni?” Queste parole, scritte nel 1881, sono un estratto della tesi di laurea di Lidia Poët, la prima avvocata d’Italia, protagonista della serie La Legge di Lidia Poët, che esce su Netflix. Lidia Poët fu la prima donna italiana a laurearsi in Legge, proprio all’Università di Torino, e a chiedere di accedere all’Ordine degli Avvocati nel 1883, ma la Corte d’appello di Torino dichiarò illegittima la sua iscrizione sostenendo che “una donna non può esercitare l’avvocatura”. Poët non si arrese e nel 1920 riuscì finalmente a entrare nell’Ordine, diventando ufficialmente la prima avvocata italiana.

Già solo queste righe mi hanno fatto appassionare ed anche il viso di Matilda De Angelis mi sembrava la scelta giusta mentre imperversava nel nostro paese, una volta fatto tutto di allenatori della nazionale di calcio, ora più di esperti di padel, una polemica incredibile proprio su questa serie che vedeva vari schieramenti lidia poetcontrapposti. Forse complici sono stati i monologhi femminili di Sanremo, ma mi sono trovato di fronte ad una massa che conosceva a menadito non sol Lidia Poët ma pontificava su come si dovesse rappresentare un personaggio del genere in una serie tv. C’è una frase in una puntata di Lidia Poët che mi è piaciuta moltissimo, una frase che ho sempre sentito mia e che recita: SONO STANCA DI SENTIRMI SBAGLIATA. Come stanca dovrebbe sentirsi una serialità televisiva che non è Giuliano Montaldo che nel 1971 portò sul grande schermo in maniera perfetta la vicenda tragica degli anarchici Sacco e Vanzetti. Ognuno, però, è ed ha un suo linguaggio ed un suo tempo.  Questo è uno dei motivi per cui io difendo questa serie, perché oggi ci sono molte più persone che sanno chi fosse Lidia Poët e che hanno cercato su Google magari quali sono state le altre donne pilastri della storia italiana. Bene, ma sono certo che non tutte sanno come si “rappresenta” un personaggio nella serialità televisiva, cosa che non è affatto facile. Sulla piattaforma di streaming dal 15 febbraio, i sei episodi di La legge di Lidia Poët, scritti da Guido Iuculano, Davide Orsini, Elisa Dondi, Daniela Gambaro e Paolo Piccirillo, si ispirano alla storia dell’avvocata, ma in realtà questa è una vera e propria serie di indagini, più thriller e crime che fedele ai fatti reali. La sentenza del tribunale che revoca la licenza d’avvocato alla protagonista però è dolorosamente vera: il testo recitato è esattamente quello letto in aula 150 anni fa. Si dice che “non è bene che le femmine si occupino di legge, svalutando la serietà della professione”. Parole come pietre, che però la protagonista – sia quella reale che questa di fantasia – non ha lasciato che la definissero. Una delle cose più belle e riuscite di questa serie e vedere come i personaggi maschili,  nella loro totalità, si adoperino con parole, dalle più violenti alle più suadenti, a far desistere Lidia dalla sua professione. Sempre e comunque.

lidia poet Non poteva esserci attrice più adatta per questa parte: la De Angelis dà al personaggio la determinazione e l’intelligenza necessarie, ma ha deciso di renderla anche buffa e imperfetta, molto umana. Fin dalle prime immagini capiamo subito di trovarci di fronte a una donna più moderna dell’epoca in cui vive: i vestiti dai dettagli insoliti, quali spille e gioielli a forma di insetti, la casa in affitto (perennemente in arretrato) disordinata, la lingua tagliente e la gioia del sesso non coniugale ne fanno una figura scomoda per la Torino del 1883. E un personaggio invece perfetto per il 2023. Qualcuno ha scritto che questa è una serie “scritta dall’algoritmo”. Verissimo! Solo che Boris 3 non va preso alla lettera. Gli elementi classici che “piacciono all’algoritmo” ci sono tutti: un aggancio a una storia vera, una protagonista femminile intelligente, la storia (anzi le storie) d’amore, la linea comica, quella teen, i costumi d’epoca, il filone crime. A fare la differenza però è la personalità di Matteo Rovere (che dirige i primi due episodi, poi la regia è di Letizia Lamartire) e dei suoi attori. Fin dalla fotografia, del sempre più bravo Vladan Radovic (nelle prime due puntate, poi è di Francesco Scazzosi), il regista non si piega allo stile standardizzato dei prodotti da piattaforma streaming, scegliendo di girare anche con luce naturale, a lume di candela e lampada a olio. Ben scritta, in modo semplice e per questo efficace, recitata e diretta, con una Torino splendida, costumi ricercati (di Stefano Ciammitti) e una colonna sonora (di Massimiliano Mechelli) che rispecchia la determinazione della protagonista, La legge di Lidia Poët è una serie italiana dalle ambizioni internazionali, che potrebbe piacere molto in tutto il mondo. Io lo spero, perché questa avvocata a risolvere casi è (quasi) meglio della Signora in giallo. Speriamo di poterla ritrovare in una seconda stagione, con nuovi enigmi da risolvere e uno studio tutto suo.

 

Le Avvocate

Personaggi femminili che interpretano il ruolo di Perry Mason nella serialità ormai sono tantissime. Tre per me sono indimenticabili. Ally McBeal ha ridefinito lo stilema stessa della professione legale mescolando tutti quegli elementi che poi avrebbero dato origine a Carrie Bradshaw e socie di Sex and the City. Non sarebbe esistito il culto delle Jimmy Choo o delle Loubatin senza l’avvocato in minigonna che aveva accanto una squadra di ottimi attori che si trovano ad impersonare dei personaggi davvero ben scritti. Poi naturalmente The Good Fight con un cast che vede Christine Baranski, Cush Jumbo e Sarah Steele, che riprendono i loro ruoli dalla serie originale The Good Wife, che aveva la splendida Julianna Margulies e che sarebbe il terzo elemento di questa terna, insieme con Rose Leslie, Delroy Lindo, Justin Bartha e Erica Tazel