Leftovers, giro di boa. Poi?

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La nuova serie di Damon Lindelof, scritta in collaborazione con Tom Perrotta, è arrivata a metà della sua prima stagione e continua a non avere un’identità definita. Che cos’è Leftovers davvero? Non si comprende pienamente e non sempre questo è un male. Finora la puntata che avevo amato di più era stato la terza, quella in cui finalmente Christopher Eccleston, il pastore, mostrava le sue capacità. Però si trattava di qualcosa che non si legava col resto della storia. Oppure si.
Avevamo già parlato di questo prodotto dell’HBO. Questa è una serie che non segue una logica lineare, apparentemente, cosa che sarebbe da applausi se il gruppo scrittura avesse un’idea precisa di dove andare. Però lo spettro di Lost, visto che si tratta di Lindelof, è presente e nonostante io abbia adorato tutte le vicende, a volte sconclusionate, dei passeggeri del volo Oceanic 815, c’è sempre il pericolo che poi tutto si concluda in una bolla di sapone insapore. Fare una narrazione non -lineare è estremamente più complicato che seguire degli schemi più classici.

Siamo alla quinta puntata che si apre con una scena cruenta, la morte di Gladys, una delle animatrici dei CS, i Colpevoli Sopravvissuti, e lancia un ritmo forte, fatto di alti e bassi per tutto l’episodio. Eppure la storia non va avanti di tanto, anche se c’è da sottolineare un buona prova di Justin Theroux, era ora, visto che il focus stavolta è su di lui e sul rapporto con la figlia che non accusa mai il padre del divorzio con la moglie. La puntata intensa, inferiore solo alla già citata terza, che sembrava il salto di qualità auspicato per tutta la serie.

Qualcosa però potrebbe muoversi. Nel finale di puntata infatti vediamo Gladys cremata all’interno di un capanno dell’FBI. Uno sviluppo per la storia che potrebbe dare adito ad elementi complottisti, che molto piacciono. Qui sta il dilemma di Leftovers: ci mostrerà una verità sconvolgente oppure resteremo poveri con la sola certezza che è successo un fatto inspiegabile? L’obiettivo è ambizioso.