Le notizie si pagano, le opinioni no. Ma siete sicuri?

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il meme definitivo da Gilda 35

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Non volevo più parlarne di questa storia dei blogger non pagati, soprattutto dopo ieri sera. Mi ero detto: "Fai star zitto Orson!" Invece non riesco, perchè secondo me c'è un qualcosa di non ancora analizzato, sfuggente, ma che ha bisogno di un approfondimento. L'occasione me l'ha dato ancora una volta un post di Pier Luca Santoro, che nel suo post di oggi, Il Valore delle Opinioni, cita un passaggio dell'Obituary di Sulzberger, editore del New York Times, morto nel 2012. La citazione è proprio dello stesso Sulzberger:

I think that paper and ink are here to stay for the kind of newspapers we print. There’s no shortage of news in this world. If you want news, you can go to cyberspace and grab out all this junk. […] You’re not buying news when you buy The New York Times. You’re buying judgment. [Non state comprando notizie quando acquistate il NYTimes. State comprando giudizi, opinioni]

Il Giornalaio

Messa così non dice molto. Però se io la collego ad altre due dichiarazioni, allora il puzzle si completa meglio. La prima è di Peter Gomez, de Il Fatto Quotidiano, trovato su uno storify di G.B.Artieri, che vi consiglio di leggere, dove Gomez afferma che loro pagano le notizie. Poi c'è quella di Lucia Annunziata nell'intervista rilasciata a Prima Comunicazione riguardo l'uscita dell'Huffington Post:

I blogger sono una parte essenziale del nuovo progetto.[…] I blog non sono un prodotto giornalistico, sono commenti, opinioni su fatti in genere noti; ed è uno dei motivi per cui i blogger non vengono pagati

Lucia Annunziata

C'è un corto circuito di date, perchè quelle italiane sono del 2012 e quella di Sulzberger è del 1997. Eppure ci hanno ripetutto fino allo sfinimento che oggi le notizie corrono veloci, che c'è Twitter e tutto il resto, poi ci sono anche quelli, soprattutto nelle grandi testate nazionali, che prendono notizie locali e ci fanno dei libri molto venduti, senza non dico pagare, ma neanche ringraziare. Ma certo, c'è la crisi, il sistema editoriale italiano è alla canna del gas, ci sono pochi soldi. Caso strano quei pochi soldi passano sempre nelle stesse mani. Se i giornali online poi dicono di non coprire le spese potrebbero almeno farci vedere i dati, magari qualcuno, molto più qualificato di me, potrebbe dargli dei suggerimenti.
Poi si viene a dire ma un fa il blog perchè vuole scrivere, per stare in un progetto. Pieno diritto, nessuno lo vieta, ma se mi trovo in una "impresa editoriale" che genera un prodotto, che lo commercializza, perchè non deve ricevere nulla in cambio. Sono i tre principi su cui fondo questa obiezione:
1.l'etica e la dignità del lavoro, che deve valere per il lavoro di tutti e non solo per i lavoratori in senso classico, come gli operai
2.si droga un mercato (vi consiglio questo http://t.co/xw4joeRS)
3. non viene riconosciuto il valore aggiunto creato.
Altro punto. Perchè i giornalisti si sono messi a fare i blogger? La Blogfest è stata la prova lampante di tutto questo. Chissà se hanno mai riflettuto che la loro visibilità deriva dal fatto che erano già conosciuti attraverso altri media.
Forse non è così, forse credono che quando scrivono un post sia come scrivere un articolo per la carta. Allora siamo al cane che si morde la cosda.
Sicuramente c'è qualcosa che non va nel sistema editoriale diventato troppo chiuso, che non premia l'iniziativa e soprattutto che non interessa. Ricordo i tempi in cui si diceva che i giornali dovevano diventare più di approfondimento, ma per farlo servono le opinioni. L'uovo di Colombo!
Qui i dubbi sono due: o gli editori, con tutto il sistema a loro legato non hanno capito nulla del digitale, nonostante i soldi spesi in convegni e studi, oppure alla fine conviene aver creato un piccolo esercito di manovalanza a basso costo da cui attingere pagando poco o nulla. O entrambe.

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