Le legioni d’imbecilli e l’Infodemia

Spread the love

E ci risiamo! Siamo di nuovo alle Legioni di imbecilli che pare siano creati dai social come fossimo dentro un videogioco RPG. Se Umberto Eco fosse vivo – magari – per tutte le volte che è stato nominato per questa sentenza gli sarebbero scoppiate le orecchie e sarebbe diventato l’uomo più ricco del sistema solare per i diritti d’autore da versargli!  Intanto la comunicazione politica, soprattutto quella degli uomini politici, dei rappresentanti dei rappresentati è arrivata davvero ai  minimi termini. Si naviga in un mare di frasi fatti e slogan senza un minimo di costrutto che sembrano venir fuori dai peggiori imbonitori di mountain bike con cambio a 30 rapporti del millennio scorso! Ultima quella che ha visto protagonista alcune sere fa l’ex ministro Bellanova  scatenando proteste da molti utenti di Twitter.

 

La signora si lamentava del triste dato del forte aumento della disoccupazione femminile. E se ne lamentava accusando quasi di immobilismo chi poteva fare qualcosa e accusando non si sa chi. Qui si è scatenata la protesta. Alcuni hanno ricordato come il “capo” del suo partito sia stato uno degli artefici della cancellazione dell’articolo 18 e poi, in maniera ancora più evidente, gli è stato fatto notare, che sicuramente avrebbe potuto fare molto di più da ministro dell’Agricoltura che da utente di Twitter.
Io non so chi sia il social media manager dell’onorevole Bellanova ma credo che dovrebbe fare al più presto un corso di aggiornamento. La parola che si attribuisce ad Umberto Eco della “creazione” delle legioni di imbecilli non può continuare ad essere il paravento per una scarsissima professionalità. Del resto non è possibile continuare a pensare che la gestione della comunicazione social sia fatta dal “cugino perché è bravo coi computer”. Però se si rompe l’automobile non si va dallo zio perché sa guidare bene!
Non si capisce cosa di buono ha portato la rete e si va avanti di slogan fastidiosi. Sentiamo dire frasi come “Il paese ha bisogno di risposte!” Da chi e su cosa? Gli slogan devono sempre essere sintesi di un contenuto che continua a mancare.
Purtroppo si dimentica che la COMUNICAZIONE è RELAZIONE. Se non è questo principio non si procede in nessuna direzione. E’ solito un chiocciare stridulo e garrulo che offende le orecchie e alla fine ognuno si rintana nel proprio mondo. Questo è il vero “rumore di fondo”, altro che l’infodemia di cui parla qualcuno!

Adesso poi con la crisi di governo del secondo governo Conte ci si è scatenati in una partigianeria di nomi come se l’ex primo ministro sia una sorte di novello Che Guevara da difendere con le unghie e con i denti. D’altra parte neanche la visione di Mario Draghi come cavaliere senza macchia e senza paura è abbastanza inutile. La politica non è e non può essere un album di figurine. Bisogna uscire da questo atteggiamento post-moderno che vede il simbolo come rappresentazione del tutto, ma qui non si sa cosa ci sia dietro. Nessuno ha parlato di cosa serve all’Italia in un momento così complesso è difficile. La comunicazione non può essere la risposta quando non ha nulla da comunicare!
Io ho rispetto per le competenze di Mario Draghi ma vorrei sapere per un una persona che si avvia a creare un governo qual è la sua visione di società, quali sono le sue scelte circa i diritti umani e civili, la politica sull’immigrazione e la giustizia. E poi ogni volta che si ricorre ad un governo tecnico, anche se di altissimo profilo, è una profonda sconfitta della politica, quella uscita dalle urne! Siamo diventati così smemorati da scordare il primo governo Conte? Quello fatto dai due partiti vincitori delle ultimi elezioni, cioè Lega e M5S. Hanno creato un governo che si è dimostrato incapace. Si cambia alleanza con Conte sempre premier e poi un giorno qualcuno si alza – ca va sans dire – e dice che non va più bene. Possibile che allora si cade nel “ci vuole l’uomo forte” oppure “una volta questo non succedeva!”
Ci si trincera dietro un’inutile nostalgia, una pericolosa nostalgia della nostalgia, come se le fake news fossero un’invenzione attuale.
Ah si? E’ allora il Dispaccio di Ems? Il famoso telegramma che fu casus belli della guerra franco-prussiana del 1870? Era una fake news ed i social non c’erano.
E’ il finto sbarco degli alieni raccontato da quel genio di Orson Welles alla radio a cui credettero milioni di persone per alcuni giorni cos’era? Date un’occhiata a queste fake news storiche.

A mio avviso il discorso sulle legioni di imbecilli è molto conveniente, soprattutto a certe elite che sanno quanto la conoscenza e l’informazione siano importanti per il funzionamento della democrazia e del cervello. Lo sanno talmente che iniziano ad usare parole come infodemia, già citata prima, addiritura. E’ normale che se aumentano le fonti di informazione aumenta anche il “rumore” che viene generato da esse! Queste sono cose che vengono studiate da chi si occupa di scienze della comunicazione e non solo dai giornalisti. Anzi, il neologismo infodemia , termine che indica una circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili, è più materia di chi si occupa delle scienze della comunicazione che da alcuni giornalisti pubblicisti che magari tentano di riempirsi la bocca con i termini più in voga al momento.

Se l’aratro è stata la prima rivoluzione industriale dell’uomo, internet è l’ultimo in ordine di tempo. Prima delle rete ci fu quella del motore a scoppio, che di fatti ha modificato l’antropologia in maniera definitiva. Oggi la connettività ha già cambiato tutto e la pandemia sta accelerando sempre di più questo cambiamento. Rifugiarsi nella nostalgia elitaria non è altro che mettersi una coperta in testa e non voler guardare il cambiamento. Però per affrontare questo cambiamento occorre essere pronti e non simulare una presunta bravura.

Dice lo scrittore Douglas Coupland: ci sono tre cose che non puoi simulare: le erezioni, la competenza e la creatività.