La dittatura della vista e della “ho ragione con ragione”

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E’ arrivato l’equinozio d’autunno. Per me è sempre una notizia bellissima. Forse perché amo la canzone Odio l’Estate di Bruno Martino, forse perché l’autunno è una stagione di confine, di cambiamento, di mutazione, cose che fanno parte di me. Una stagione dove le dittature crollano. Ho “dovuto” prendere alcune settimane di riposo proprio all’inizio di settembre, la dittatura sanitaria si è imposta su di me – tranquilli niente Covid ma solo buon senso e riposo.
Riprenderà anche Percorsi Seriali, come sempre e anche altri progetti che non svelo. Stamattina mi è capitato di leggere un brano molto bello di Chandra Livia Candiani, poetessa e traduttrice di testi buddisti che iniziato un percorso importante. E’ un testo tratto “Il silenzio è Cosa Viva” e si chiama I SUONI DEL MONDO.
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I suoni del mondo
di Chandra Livia Candiani

Nel mondo ci sono i suoni, i nostri rumori e quelli delle vite degli altri.
Nella pratica meditativa, si impara ad ascoltare suoni e rumori da una radicale trasparenza.
Come fossimo uno sfondo limpido, ascoltiamo i suoni sorgere, restare un certo tempo, svanire.
Cerchiamo di non soffermarci sulla causa che li ha prodotti, ma di prestare piuttosto attenzione alla loro vibrazione e alla reazione immediata che suscitano in noi: piacere, dispiacere, indifferenza.
Anche queste reazioni sono rumori.
Il Maestro thailandese Ajahn Chah diceva: «Non uscite a disturbare i suoni».
Spesso, le nostre reazioni sono molto piú rumorose del rumore stesso.

Ogni suono sorge su uno sfondo di silenzio e svanisce in uno sfondo di silenzio.
Un detto zen confida: «Il silenzio che precede la musica e quello che la segue sono musica».
Imparare a percepire lo sfondo di silenzio esterno aiuta ad avvertire anche lo sfondo interno, quello che precede la reazione, il pensiero, il giudizio.
Addestrarsi a stare con i suoni e i rumori come energie che sorgono, sostano e scompaiono insegna a stare con i pensieri con lo stesso atteggiamento di partecipazione impersonale, al di là della persona, senza appropriazione, ma in intimità, non con il contenuto e il commento al contenuto, ma con la scia che un pensiero porta con sé, con la sua tonalità affettiva.

Stare con i suoni del mondo, con la sua sinfonia, fa percepire paesaggi sonori e ci leva dalla tirannia della vista.
La mente si purifica, diventa più vasta e morbida e il cuore si sintonizza con il cuore del mondo, con le vite degli altri, i loro echi, le loro scie.
C’è un suono particolare, intenso, e soprattutto per chi vive in città anche frequente, è il suono delle ambulanze.
Io invito a non ascoltarlo come un suono tra gli altri, ma come il segnale dell’emergenza, qualcuno ha bisogno di me, almeno del mio pensiero: «So che sei lí, so che sei in pericolo, non sei solo, ti sento, ti mando il mio augurio di bene».

Allenati a sostare sui rumori e i suoni, piano piano si percepisce un suono sullo sfondo, continuo, sottile, misterioso: la voce del silenzio.
È impossibile essere distratti e sentirlo, è impossibile volerlo afferrare e sentirlo, ha bisogno di presenza, ma anche di apertura, di vastità, se c’è desiderio di appropriazione scompare.
È un suono che ricarica, che ricorda qualcosa di antichissimo e di perduto e nutre un bisogno senza nome insegnandoci ad abbandonarci anziché ad andare a caccia. Insegna senza contenuti, si torna piú saggi dopo averlo frequentato, ma non si sa di cosa.

La dittatura della vista (e non solo)

Mi ha fatto pensare ad un’amica a cui voglio molto bene e proprio per questo poi stamattina gliel’ho mandata in privata.
Mi colpisce molto l’espressione “dittatura della vista”. Oggi la parola dittatura, termine pesantissima, è abusata da un insieme di gruppi no-vax – dal coprifuoco, al greenpass passando per l’obbligo vaccinale – che si oppongono a tutto senza aver un senso, ma solo con la pretesa di avere “ragione”. C’è chi parla anche della dittatura dei cuochi e dei menù degustazione. Scherzando alcuni di noi hanno chiesto anche l’abolizione dei semafori perché simbolo della dittatura della circolazione.
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A me invece fa più paura la dittatura della “razionalità”. Che significa? Significa non considerare due termini: adattamento e contesto.
Una volta ho provato ad usare la parola contesto e sono stato accusato di essere ferme alle teorie di Lamark e Darwin sull’evoluzione. Ok, ok. Senza problemi cancello. Non mi interessa avere “ragione”. Non mi interessa perché a me interessa comprendere. E sentire. La ragione per la ragione non lo permette.
Allora Wabi-Sabi. Un termine giapponese che rappresenta l’accettazione della transitorietà e della bellezza imperfetta.
Volete la ragione? Tenetevela. le cose non cambieranno, proprio perché sono sempre in cambiamento.
Quello che non cambia mai per chi vuole ragione a tutti i costi e si alambicca in complottismi di qualsiasi tipo è la percezione del mondo e di quello che c’è oltre.
Sto smettendo di arrabbiarmi per questo. Diciamo che è un proposito per l’autunno nuovo.

Il silenzio del silenzio

C’è qualcosa in questa corsa alla voler avere ragione che a me spaventa. Mi fa spaventa perché va ben oltre la razionalità. Diventa uno scontro violento e pieno di acredine che ci fa perdere una delle cose più importanti: l’ascolto.
L’ascolto non è l’udito. L’ascolto è la percezione, è il sentire, è la capacità di “accogliere” l’altro. E’ l’incontro.
Mi spaventa chi vuole interrompere il silenzio. Ed il suo ascolto.