Domenica mentre il sole vibrava nella sabbia mossa dal vento dello Ionio, con i kite che schizzavano veloci sotto il cielo, un pensiero mi girava in testa.
La sera all’improvviso mi è venuto in mente: Kamchatka. Non è solo un territorio del Risiko, è anche il titolo di un bellissimo film argentino con Ricardo Darin e Cecilia Roth. Un film intenso su come due genitori crescono e cercano di salvare, nascondendoli, i loro due figli dalla dittatura argentina. Kamchatcka era il luogo dove resistere! È il posto dove nell’immaginazione e nei loro cuori, padre e figlio si sarebbero potuti ritrovare.
I miei ricordi si sono dissolti come se Thanos avesse fatto un nuovo blip. Sembra bello che dopo 20 anni riesci a ricordare una cosa del genere. Forse. Forse però è anche la consapevolezza che quella terra io non la ritroverò mai, che purtroppo è neurologicamente perduta. Per questo io scrivo di appartenenza: perché io sento quel silenzio, quel vuoto, quello spazio. Sembra bello. Forse lo è, ma cazzo se fa male. E sfido chiunque a dirmi che non è così! E’ un po’ come dire a uno che ha preso il Covid “Pensa alla salute!”
C’è il tempo delle lacrime. E poi Fern riparte. Con il suo furgone. Il suo van dove vive.
La sua Kamchatcka. Cercando di sentire il rumore della sua appartenenza.
Soprattutto nell’immenso silenzio che c’è.