IN SILENZIO su Netflix sta facendo parecchio rumore

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Una delle frasi più importanti del grande e, purtroppo, mal citato semiologo italiano Umberto Eco era che “la parola è potere”. Difficile negare il contrario, soprattutto da chi usa la parola ogni giorno come comunicazione, professione o, addirittura, missione. Però anche il silenzio è potere, perché il silenzio è uno strumento che può fare molto rumore. Lo si vede benissimo nel nuovo thriller drammatico dall’emblematico titolo IN SILENZIO arrivato a maggio nel catalogo Netflix e che ha scalato in fretta le posizioni nella classifica dei più visti, anche nel nostro paese, della piattaforma con la grande N rossa. Non sono pochi i motivi per cui questa serie, di marca spagnola, un paese che è diventato sinonimo di serialità molto amate dal pubblico dopo La Casa di Carta e non solo, ma anche certi rimandi alla cronaca non solo internazionale, ma anche a quella di casa nostra. Eventi scioccanti che riempiono i media anche con un certo gusto per il voyeurismo eccessivo e che riportano alla luce un termine molto usato ed appreso dai “telefilm” made in USA, parlo della famosa Sindrome di Stoccolma per cui le vittime di crimini tendono a simpatizzare con i loro carnefice e a difenderlo. Una patologia diventato sempre più comune in un mondo dove le relazioni e l’infotainment è dominato da un (ab)uso della sfera social, specie quando non si forniscono avvertenze e modalità d’uso come sarebbe opportuno per tutta la nostra dieta mediatica.
Un ragazzo uccide entrambi i genitori e viene condannato a vari anni di carcere. Da quel carcere, conosce a fa innamorare delle ragazze. Una volta uscito, si avvicina a Dio. Non possiamo non notare che, per noi italiani, lo spunto di questa serie abbia un riferimento particolare. Perché non abbiamo ancora dimenticato il caso di Pietro Maso che negli anni Novanta sconvolse l’Italia e lo fa ancora oggi. È interessante notare un parallelo tra lui e Sergio, il protagonista del film. Ma è solo una suggestione e sicuramente un motivo in più per interessarsene e magari per vedere la serie. In silenzio è un prodotto molto diverso dalle altre serie tv spagnole disponibili su Netflix; più sobria, cupa, dolente e ipnotica. È una serie che ci parla di traumi, di immagini. E di controllo, che si presta a più livelli di lettura. E che, questa è la cosa più importante, tiene incollati allo schermo, in un gioco strano fra attrazione e repulsione.

Sergio Ciscar – Arón Piper già visto in Elite – è stato sei anni in carcere per aver ucciso i genitori, gettandoli dal balcone del suo appartamento. Da quel momento è noto a tutti come “l’assassino del balcone”. Da quando è accaduto il fatto, Sergio non parla più, rimane in silenzio. Una volta uscito dal carcere, con un anno di anticipo, torna a casa sua, proprio in quell’appartamento dove tutto è successo. Ma non è solo. Una psichiatra, Ana (Almudena Amor), lo studia da remoto, grazie a un complesso sistema di videosorveglianza, con una serie di telecamere installate in tutto il suo appartamento, e anche grazie alle videocamere sparse per la città. È un progetto speciale, che vuole monitorare il suo reinserimento nella società. Nel frattempo, Sergio riallaccia i contatti con Marta (Cristina Kovani), una ragazza che aveva conosciuto durante il suo periodo di detenzione.

Ci sono tante angolature da cui provare a vedere In silenzio. Il primo, intrigante, è legarla al voyeurismo. Un tema che, nel cinema prima che nella serialità televisiva viene da lontano, dal cinema di Hitchcock, con La finestra sul cortile e Psycho, o dal cult Peeping Tom. Tutti film in cui lo sguardo diventava ossessione, che l’occhio fosse quello di una finestra e un binocolo, di un buco nel muro o quello di una macchina da presa. La tecnologia ha man mano potenziato e moltiplicato la possibilità di visione. Tanto che quella di oggi è la società della sorveglianza: ovunque andiamo siamo monitorati da videocamere di tutti i tipi, che ci seguono, dalle strade fino alle webcam dei nostri computer. Ce lo dicevano, già 30 anni fa, film come Sliver e poi Nemico pubblico, ce lo diceva Oliver Stone con il suo Snowden qualche anno fa, per arrivare al primigenio capolavoro L’Uomo e la Macchina da Presa di Vertov datato 1929. Da un lato, allora, In silenzio ci mostra come ogni nostro passo sia monitorato. Dall’altro, come nei film di cui sopra, come dietro la necessità di vedere ci sia sempre un’ossessione da parte di chi guarda. E proprio questa sarà una delle chiavi della serie. Che inizia parlando dell’osservato, e finisce parlando anche dell’osservatrice, la cui interprete merita davvero una menzione speciale.
Bisogna ammettere che per tutta la durata di In Silenzio, da spettatori, si ha una forte sensazione di tensione, ansia, agitazione ma allo stesso tempo fascino. Si vive questa serie con un continuo contrasto emotivo che alterna il tormento per una storia che si fa sempre più oscura e inquietante e il fascino per quello stesso tormento che fa paura ma sotto sotto ci piace. In Silenzio, dopotutto, gioca proprio su questo contrasto e riesce a raccontare il conflitto interiore e l’ossessione, di cui sono vittima i suoi protagonisti, con grande maestria mostrando cosa significa non essere in grado di gestire i propri impulsi, le proprie emozioni, la propria rabbia. Così, attraverso le storie dei suoi due protagonisti, Ana, una psichiatra che non si è mai sentita accettata dalla coralità e Sergio, un ragazzo tormentato che è stato in carcere per aver ucciso i genitori, In Silenzio trasmette questo stesso senso di oppressione e angoscia che trascina lo spettatore, quasi con forza, dentro i toni e i colori scuri e opachi di questa serie che fa fatica a definirsi e a rientrare in un genere specifico.

 

ARON PIPER NELL’ELITE

Scritta da Carlos Montero  e Darío Madrona, Elite è un racconto di crescita personale, relazioni, lotte tra classi sociali diverse, amore e un caso da risolvere. La serie, un teen drama dai toni crime e le sfumature thriller, trova il suo fulcro ne Las Encinas, la scuola più privilegiata della Spagna, nella quale studiano esclusivamente i figli delle famiglie più agiate. Questo equilibrio si incrina quando, a seguito di un terremoto che ha distrutto la loro scuola, tre ragazzi della classe operaia sono assegnati a Las Encinas. Il loro arrivo nell’esclusivo liceo fa scattare una lotta di classe, che unita ai divari sociali e ai classici problemi adolescenziali, sfocia in un omicidio. La serie targata Netflix vede tra le file del suo cast le star de La casa di carta María Pedraza, Miguel Herrán e Jaime Lorente, che recitano accanto ad altri giovani volti dello schermo.