Il peso del Giallo in Rai: Maigret, Nero Wolfe e gli altri

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Prosegue il viaggio di Vacanze Seriali fra le memorie del passato televisivo italiano. La Rai ha spesso affrontato i grandi tomi della letteratura negli adattamenti per il piccolo schermo come elemento importante della sua missione educatrice. Però, non ha disdegnato affatto altri modelli e generi di letterature di grandissimo valore, come il giallo, principalmente quello dei grandi investigatori. Prima di tutto sgombriamo il campo da un’annosa questione: chi scrive crede nell’assoluta bellezza e validità dei generi letterari e di quello che è chiamato “sistema dei generi”. Un giallo perché tratta della ricerca di un assassino o di un ladro non vale meno di qualcosa che esalta le gesta di un condottiero. Altrimenti dovremmo dire che Georges Simenon non è stato uno scrittore di valore. In realtà il belga è stato un grandissimo e prolifico scrittore che è riuscito ad innovare lo stile, componendo i suoi libri con un ritmo ed un passo difficilmente visto nel Novecento.

La sua creatura principale è sicuramente il Commissario Maigret che nella televisione italiana ha avuto il viso ed il corpo di Gino Cervi, che da “attor giovane” fu Renzo Tramaglino nella versione cinematografica dei Promessi Sposi diretta da Camerini. Al cinema c’era già stato un altro grande Maigret, anche lui con la corporatura pesante e la recitazione straordinaria, il francese Jean Gabin, uno di quegli attori che si può dire che non ha fatto cinema, ma è stato il cinema, vista la partecipazione a film che sono leggenda come La Grande Illusione di Jean Renoir ed Alba Tragica di Marcel Carnè con la sceneggiatura del poeta francese Jacques Prevert, proprio quello che si studia a scuola e che i ragazzi si segnavano sul diario. Però poi c’è un figlio illegittimo del Maigret italiano, ma ne parleremo più avanti. Le Inchieste del Commissario Maigret  è una serie che segue le indagini dell’omonimo ufficiale di polizia francese, capo dipartimento della polizia parigina. Uomo dalla corporatura massiccia, probabilmente ereditata dalla sua origine contadina, largo di spalle, dall’aspetto distinto, ma dall’indole burbera. Amante della buona cucina, bevitore d’abitudine e accanito fumatore di pipa. Immerso nei cupi e bui vicoli della periferia parigina, l’investigatore avrà a che fare con ogni sorta di personaggio. La serie abbandona lo schema del “giallo all’inglese”, imperniato su delitti perfettamente orchestrati, investigatori infallibili, ambientazioni mondane e altolocate che sono più territorio di Agatha Christie e del suo affettato e baffuto Poirot.

Maigret ha i baffi più folti ed assomiglia molto al vecchio logo di una nota birra italiana. Viene spesso a contatto con personaggi e ambientazioni popolari e piccolo borghesi. Ed infatti, nella serie, e nelle opere di Simenon il centro dell’attenzione è spostato sulle motivazioni umane che portano al delitto, più che sulla ricerca degli indizi materiali. Per le prime due serie, andate in onda fra il 1964 e il 1966, gran parte delle sequenze, persino per alcune ambientazioni da esterno, erano girate in interni, nei teatri di posa e studi televisivi della RAI. Il successo fu straordinario tanto che raggiunse in alcuni episodi punte di 18 milioni di spettatori, ma non solo, visto che è rimasto uno dei capisaldi dello sceneggiato Rai. Parlavamo di un figlio illegittimo del Maigret italiano, cioè l’amatissimo Commissario Montalbano di Camilleri. Lo scrittore siciliano all’epoca lavorava nel reparto produzione della seconda rete italiana e non ha mai nascosto che tutta la modalità produttiva della trasposizione del lavoro di Simenon fu poi di ispirazione e modello per la creazione di Salvo Montalbano e delle vicende del commissariato di Vigata. Questo dovrebbe sempre far tacere i presunti soloni che parlano sempre della superiorità del libro sul film o peggio ancora sulla tv, dimenticando, ma spesso non sapendo, che media diversi hanno caratteristiche diverse e quindi modi di raccontare diversi. Comunque poi si influenzano sempre fra di loro. La forma di uno è diversa e mai superiore per natura a quella di un altro. Però non c’è solo Maigret nel pantheon Rai degli investigatori, ma sono anche altri i pesanti eroi del piccolo schermo.

A New York, in una casa di arenaria rosso-bruna, vive l’investigatore privato Nero Wolfe. Uomo dal peso notevole, sia fisico, circa 150 kg, che intellettuale. Wolfe ha una caratteristica che lo distingue da ogni altro investigatore: non esce praticamente mai di casa. Infatti tutte le incombenze sono svolte dal suo assistente Archibald “Archie” Goodwin. Inoltre Wolfe ha degli orari di lavoro rigidissimi: dalle nove alle undici e dalle quattro alle sei del pomeriggio lavora nella sua serra privata. Grande appassionato di alta cucina, durante i pasti si rifiuta di parlare di lavoro. Eppure, nonostante tutte le sue manie e difetti (fra cui la misoginia), è uno degli uomini più intelligenti del mondo. Infatti risolve sempre ogni caso. Gli interpreti ricorrenti nella serie erano: Tino Buazzelli, meraviglioso, nel ruolo di Wolfe, Paolo Ferrari in quelle di Goodwin, Pupo de Luca in quelli di Fritz Brenner (il cuoco di casa Wolfe, definito da Goodwin “Il piccolo gioiello di famiglia”) e Renzo Palmer, nelle vesti dell’Ispettore Cramer. In ogni episodio – girato in bianco e nero – la distribuzione del cast era completata da diversi attori ospiti (per lo più interpreti di teatro). Questi impersonavano i personaggi al centro della vicenda su una particolare colonna sonora che davvero diventava un altro personaggio. Naturalmente anche questi titoli sono disponibili su Raiplay.

Oltre ai due campioni di cui abbiamo parlato prima non possiamo dimenticare Giorgio Albertazzi, anche lui grande attore di teatro, interprete di Philo Vance, investigatore dandy creato dalla penna di Van Dine, ritenuta una produzione minore a torto visti i risultati raggiunti, che sapeva coniugare espedienti più di stile e di umorismo legati alle ambientazioni proposte. Importante è sicuramente Il Tenente Sheridan interpretato da Ubaldo Lay, perché invenzione degli sceneggiatori Casacci, Ciambricco e Rossi. La figura di Sheridan – che appariva quasi sempre avvolto in un impermeabile color ghiaccio e, a differenza di molti suoi colleghi hard boiled, a capo scoperto – era disegnata sui modi spicci ed improntati alla massima perspicacia intuitiva e investigativa, tipici di un detective tipo statunitense impegnato in una sezione investigativa di una grande città.